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Bonsai

Regia di Cristián Jiménez vedi scheda film

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La recensione su Bonsai

di OGM
8 stelle

A volte l’amore è come una pianticella. Fatto di piccole attenzioni, piccoli discorsi, piccole bugie. Una grande verità racchiusa dentro una minuscola finzione, curata giorno dopo giorno, contenuta dentro il recipiente dei nostri poveri limiti e delle nostre abituali paure. Ed è un po’ come la scrittura: un’arte che vive di segni simbolici e di gesti rituali, e che si restringe dentro le pagine di un diario per consegnarsi al mondo. La sintesi del racconto è la vita che si tira indietro per pudore, dando di sé solo pochi cenni, indiretti e vaghi. Julio scrive il romanzo che parla di lui, ma lo presenta alla sua amica come se fosse il libro di un altro, del famoso Gabriel Gazmuri, presso cui lavorerebbe come copista. Narrare di sé è una pratica pericolosa: svelare il passato, e, con esso, i lati nascosti di sé, è un’operazione che spesso fa male. Certi ricordi non si possono condividere con la propria donna. E poi l’opera perde la sua magia, se qualcuno ne scopre le carte. È meglio per lei se si mantiene al di fuori dei casi umani, in quella dimensione in cui i significati nascono e si contraddicono in tutta libertà, senza mai dar luogo ad incresciosi malintesi.  Ogni concetto si può così sovrapporre al suo contrario, senza turbare il naturale ordine delle cose. “Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera. A volte, non appena spenta la candela, mi si chiudevan gli occhi così subito che neppure potevo dire a me stesso: "M'addormento". E, una mezz'ora dopo, il pensiero che dovevo ormai cercar sonno mi ridestava; volevo posare il libro, sembrandomi averlo ancora fra le mani, e soffiare sul lume; dormendo avevo seguitato le mie riflessioni su quel che avevo appena letto, ma queste riflessioni avevan preso una forma un po' speciale; mi sembrava d'essere io stesso l'argomento del libro: una chiesa, un quartetto, la rivalità tra Francesco primo e Carlo quinto.”  Julio legge e rilegge questo brano, l’incipit di Dalla parte di Swann di Marcel Proust. In quelle frasi è riassunto il senso della continuità che sfida i paradossi spazio-temporali, l’impossibilità di essere qui ed altrove, cosciente ed incosciente, spettatore e protagonista. La storia di Julio va avanti e indietro, con salti di otto anni, che lo vedono ora ragazzo, ora uomo, ma sempre ugualmente inquieto ed insicuro, di fronte ad un’esistenza che non sa mai da che parte stare. Tutto sembra vano, ma forse il punto è che certe iniziative sono importanti proprio perché non hanno scopo alcuno. Come, ad esempio, studiare il latino, una lingua morta da secoli. O tagliare le radici a un albero, per impedirgli di crescere, e poterlo tenere dentro un vaso, sul davanzale della finestra. L’inutilità è una collezione di tante meravigliose scatole chiuse, che non si aprono mai per correre incontro a un traguardo. Stanno, invece, ferme ad aspettare che il loro destino si compia, passando attraverso il filtro dei loro incessanti pensieri. E intanto, nell’altalena dell’incertezza, fanno la spola tra il sì e il no, perché l’equilibrio si raggiunge per approssimazioni successive, sbagliando un po’ in una direzione, un po’ nell’altra. Julio ed Emilia non fanno mai l’amore senza prima aver letto qualche pagina di letteratura. Al punto si giunge per vie traverse, perdendo tempo, per avere il piacere di poterlo cercare, ed poi accorgersi che quella è una cosa da non poter fare insieme. Gli anni scorrono, per ognuno, con una velocità diversa. C’è chi va, e chi resta. A metà strada, in mezzo agli estremi opposti, ci si incontra, ci si dice ciao, e poi addio. Alla fine del film, Emilia muore e Julio rimane solo. In realtà, Julio era già solo molti anni prima della morte di Emilia. L’importante è che alla fine Julio vive, ed Emilia non vive. Emilia muore, e Julio non muore. Il resto è inventato. Il regista cileno Cristián Jiménez, in questo suo secondo lungometraggio, si ispira al romanzo di Alejandro Zambra  per portare sullo schermo il bello della vita sfuggente, che è un fantasma poeticamente spennellato di amara incostanza. Il sogno inesaudito è un incanto mancato, che non si alza mai in volo. Però sbatte insistentemente le ali, rinnovando, ad ogni istante, il suo desiderio di far sfumare, con un colpo d’aria ribelle, i contorni severi che descrivono il disegno della Necessità.

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