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La tana del lupo

Regia di Jirí Weiss vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La tana del lupo

di spopola
8 stelle

La tana del lupo di Jrí Weiss è uno dei più interessanti e riusciti film cecoslovacchi  girati prima della nova vina, la corrente che con il fiorire degli anni ’60, portò una straordinaria nuova linfa vitale a quella cinematografia, soprattutto sotto il profilo dei contenuti.

Rifugiandosi  a parlare di un passato abbastanza lontano, il regista si è in un certo senso sottratto a quelle che potevano essere le responsabilità di una analisi quasi in presa diretta (la pellicola è del 1957) dello specifico, particolare momento storico e politico della contemporaneità della sua nazione, in quegli anni così convulso e denso di fermenti. Potremmo però considerarla questa una parentesi momentanea, poiché prima e dopo, per quel che ci è arrivato di lui e ci è stato possibile esaminare, se si esclude l’opera che nel lontano 1934 lo aveva fatto conoscere in Italia transitando per la Mostra di Venezia, il “racconto breve” Dal sabato alla domenica che era semplicemente la storia di due giovani amanti, Weiss è stato soprattutto autore di film fortemente impegnati proprio sotto l’aspetto ideologico, intrisi insomma dei fatti anche drammatici della sua storia patria, il più famoso, importante e conosciuto dei quali rimane senz’altro Romeo, Giulietta e le tenebre.

Tratta dal romanzo omonimo di Jarmila Glazarová, la vicenda  si svolge in una cittadina della Moravia (Rosdavov) negli anni successivi alla fine della prima guerra mondiale. Impaginato magnificamente  con immagini composte con l’eleganza e il puntiglio di un Visconti di Praga come qualcuno scrisse da noi, il film si presenta davvero come un’opera per molti versi straordinaria, soprattutto sul piano stilistico.

E’ comunque tutt’altro che una passeggiata amorfa nel calligrafismo, perché nemmeno questa volta l’impegno morale e sociale di Weiss viene meno (il film oltre all’eleganza della forma ha infatti anche una appassionante potenza introspettiva, un approfondito scavo dei caratteri  e una fortissima carica di critica antiborghese paragonabili a quelli di un romanzo naturalista dell’Ottocento), e lo si avverte anche – e  soprattutto - nel finale, notevolmente differente, e decisamente molto più “avanzato” rispetto al romanzo. Già il titolo vuole sottolineare il chiuso e meschino ambiente in cui vivono i coniugi Robert e Klara (coloro che adottano l’adolescente Jana di cui l’uomo, di vent’anni più giovane della moglie, si innamorerà corrisposto). Un matrimonio fatto per calcolo economico e ben lontano dai “sentimenti” dunque,  ma che nonostante la nuova bruciante passione, vedrà l’uomo preferire passivamente l’arrivo della morte naturale della ricca e autoritaria megera di cui è succube, piuttosto che cercare, con un atto onesto e risolutivo, di seguire il cuore. Incapace davvero di affrontare la situazione, si allontanerà così da casa lasciando che la ragazza che ama se la sbrighi da sola con la sua rivale. Solo quando Klara muore , lui ritornerà per coronare il sogno, ma Jana a quel punto, consapevole e matura, rifiuterà di rimanere insieme a quell’uomo di paglia  e senza qualità che fino all’ultimo ha privilegiato la convenienza economica e sociale ai sentimenti.

Qui c’è allora una bellissima “presa di coscienza tutta al femminile” della ragazza, molto in anticipo sui tempi. Questo suo consapevole agire, assume dunque un particolare significato, poiché racchiude un sicuro e pesante giudizio anche morale, che non aveva invece il romanzo (nel quale anche l’uomo moriva e non c’era di conseguenza alcun abbandono).

La provincia di quel dopoguerra martoriato, l’atmosfera cupa e soffocante della “tana”, la debolezza dell’uomo  e la tirannia della moglie (un personaggio di vecchia arpia che potremmo definire “alla Balzac”) la fisionomia della  ragazza vessata che inutilmente attende da Robert la forza morale che egli non possiede, sono infatti presentati e descritti con minuziosa cura  e una penetrazione psicologica, oltre che una forza drammatica, insolitamente pregnanti (esemplare, tra le altre, la scena in cui Klara costringe a giocare, fino a tarda notte, tutta la servitù sfiancata dal lavoro).

Gli attori a noi sconosciuti, che rispondono ai nomi di Jirina Sejbalová (la tirannica Klara), Miroslav Dolezal (il pavido Robert) e Jana Brejchová (la trepida Jana) sono di alta scuola, attraversano con adeguata introspezione i personaggi loro affidati senza eccessi chiassosi di naturalismo. Ottimo anche il contributo fotografico delle riprese ad opera di Václav Hanus, come pure l’apporto scenografico di Karel Skovor e il commento musicale di Jirí Srnka.

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