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Monte Verità

Regia di Stefan Jäger vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Monte Verità

di yume
5 stelle

Un'occasione mancata, la materia si prestava a fare molto meglio, ma ci vuole genio

locandina

Monte Verità (2021): locandina

Un film indeciso, tanto da non comprendere sé stesso” commenta Eugenio Grenna  su Cinematographe.it e non possiamo che concordare.

Location, Alpi svizzere in Canton Ticino, posto meraviglioso dove la natura incontaminata ( ma lo è ancora oggi?) attirò all’inizio del secolo scorso frotte di artisti e intellettuali (Gropius, Arp, Jung, Hesse, Duncan ecc)in cerca di vita alternativa, conferma alle loro istanze libertarie, immersione in un mondo dove arte e natura fossero ancora simbioticamente accolti.

In quel luogo benedetto da non so chi si svolge la storia fittizia di tale  Hanna (Maresi Riegner), giovane donna viennese di ricca borghesia garantita da un marito, fotografo di fama, come ogni buon marito dell’epoca dispotico e cieco di fronte alla sensibilità della donna. Hanna è personaggio inventato da Stefan Jäger, regista che ha inteso dare un volto all’anonima autrice di foto d’epoca rinvenute e oggi conservate ad Ascona, presso la Fondazione Monte Verità.

Hanna lascia marito e due figlie e si rifugia lì pensando di star meglio, otterrà il suo scopo, diventerà una brava fotografa, ma cadrà nell’anonimato lasciando solo belle foto.

Monte Verità è il nome con cui, allora, fu ribattezzato il monte Monescia, nume tutelare della Comune insediata alle sue pendici per anni, fino alla decadenza definitiva nel 1926, allorchè divenne proprietà privata del ricco barone  von de Heidt.

Del resto, le utopie della Belle Epoque erano già crollate da tempo. La Grande Guerra aveva ben provveduto a spegnere ogni illusione.

Resta il lascito che per molti prefigurò e influì sulla rivoluzione dei fiori di metà anni 60, ma si tratta di una forzatura che non tiene conto del contesto e delle istanze completamente diverse.

 

Quello che gli ospiti di Monte Verità proclamavano aveva venature snob e intellettualistiche distanti anni luce dai giovani rivoluzionari dei campus americani e delle piazze europee, della loro provenienza borghese si sente il profumo anche oltre lo schermo e di quelle idealità possiamo occuparci solo come testimonianza di un clima artistico letterario di un tempo sepolto dalle tragedie della storia del ‘900.

E, per chiudere questa digressione storico/informativa, per capire tempi e luoghi, illusioni e delusioni, basterebbe leggere La montagna incantata di Thomas Mann e scatterebbero immediatamente sincronie e differenze (abissali).

 

Ma parliamo del film, come è giusto che avvenga.

Un’occasione mancata, tanta roba (come si dice dalle mie parti) che, nell’ingenua spinta a rappresentare tutta,ottiene solo frammentarietà, si annacqua cammin facendo, non decolla e genera noia. Grande noia, il peggior virus che dallo schermo si abbatte a volte sull’inerme spettatore che aspetta lo scatto, l’abbraccio empatico, l’immersione sfrenata nell’emozione sublime.

Purtroppo non basta l’eccellente fotografia, a cui pure il film è dedicato perché Hanna diventerà una brava fotografa e in questo troverà la sua liberazione di donna.

Per far belle foto di posti così suggestivi oggi basterebbe un buon cellulare, dunque la fotografia in un film deve fare altro, arricchire la storia da buona compagna di strada e alla colonna sonora non bastano due Notturni di Chopin suonati al piano da Isa per far godere le platee.

I protagonisti sono tutti vittime di un didascalismo spinto, ognuno nella sua brava casella a dirci chiaro quello che vuol dire, ma poi cosa?

Nudismo, dieta vegana (“non mi ciberei mai di cadaveri”) esposizione dei genitali al sole, amore libero (da che? mistero), strategie innovative di cura dei mali della mente e dell’animo (con buona pace del dottor Freud che lì non mise mai piede), vita spartana per non dire monacale, danze intorno al fuoco con orribili urla gutturali di gioia e libertà, tutto questo, decontestualizzato, diventa un teatrino di cui, bisogna dirlo, Hanna si rende confusamente conto quando definisce “ciarlatano” il bel dottorino Gross, uno sciupafemmene per di più drogato, che l’ha spinta a venire a curarsi lì l’asma psicosomatica.

In definitiva, come già detto, un’occasione sprecata.

La storia di Monte Verità, lo sguardo sulle costrizioni a cui la donna della buona borghesia era soggetta, i grandi nomi che frequentarono il posto, tutto avrebbe dato adito ad una bella ricostruzione documentaria nutrita da fiction che non guasta mai.

 

Bisognava pensare che esiste anche quello che si chiama popolo minuto, che appare appena nella piazzetta del paese, pensare che il mondo non finiva lì, che i grandi che lo frequentarono non erano alieni imbevuti solo di ideali estetizzanti.

Bisognava dare a quel posto l’anima che ha avuto davvero, parlare di Utopia come di un regno auspicato, forse possibile, a patto di non dimenticare la realtà.

Non è avvenuto e resta solo il desiderio di fare un giro turistico in posti tanto belli. Ma per questo basta un buon tour operator.

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

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