David Lynch, con questo film, non ci racconta semplicemente una storia, ci fa attraversare un viaggio ipnotico e inquietante, in cui il reale si sfalda e dove disturbi psichici e alienazione sono l'unica certezza. Un film che ci parla il linguaggio efficacissimo, con un uso delle immagini e dei suoni che invitano a perderti, come il suo protagonista. Ci si perde in un groviglio di fantasmi, ossessioni e paranoie, e riconferma come Lynch sia uno dei più grandi artisti capaci di trasformare il buio in arte.
Il film è diviso in due parti, che a prima vista sembrano non collegate. Nella prima Fred Madison (Bill Pullman) indaga su un possibile tradimento della moglie; nella seconda Fred si è trasformato in un giovane (Balthazar Getty) che scappa da un omicidio, e viene inseguito da un misterioso uomo. Un racconto che è il racconto di un loop, una strada senza uscita che simboleggia il ciclo della nevrosi e del trauma non risolti. Quella scena in cui Fred chiama Fred, innescando una nuova storia, è l’immagine di questo eterno ritorno. Lynch costruisce un mondo che oscilla tra il realismo del noir e l’incubo surrealista, un film che confonde e fa dubitare della realtà lo spettatore. Un'opera che è una bellissima immagine visiva della psicoanalisi freudiana, in cui l’inconscio è una foresta di istinti, desideri e traumi che influenzano la vita di tutti i giorni. Un personaggio che è attraversato dalla paranoia e dal senso di colpa, che lo portano a una perversione nei confronti della moglie e a una profonda crisi esistenziale. Lynch ci mostra come la psiche possa generare delle realtà parallele per disinnescare i propri conflitti interiori. La potenza simbolica, e soprattutto fotografica, ha un potere di mimesi avvelenata che Lynch esplora in ogni sua sfaccettatura, e la storia è costruita su questa ambiguità, sull’immagine che può essere sia specchio della realtà che finzione. Quell’ambiguo dualismo che fa dei due Fred personaggi spiazzanti che rappresentano il conflitto tra razionalità e irrazionalità, tra legge e desiderio. Una frase “Dick Laurent is dead” è un evento chiave della pellicola, un motivo che non indica solo la morte di un uomo ma anche la morte di un'identità e il ritorno a un’altra vita. Strade perdute è l’allegoria dell’infighting: Fred, la sua mente e i suoi traumi interiori sono gli unici protagonisti. Lynch si confronta con il tema della follia umana, e mostra come la mente possa generare delle realtà parallele per tutelarsi dalla realtà stessa.
Strade perdute non offre risposte definitive ma lascia lo spettatore sospeso in un vortice di sogno e incubo, come una lezione sul confronto con l'inconscio. L'opera si conferma uno dei vertici più affascinanti e complessi di David Lynch, un'esperienza ipnotica che costringe lo spettatore a perdersi insieme al protagonista e a confrontarsi con le oscurità dell'animo umano.
Strade perdute (1997): Bill Pullman


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