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Jeanne Dielman: Il film di Rai 3 e la rivoluzione silenziosa del cinema femminile
di PC1979
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Nel panorama del cinema mondiale, pochi film possono vantare l’impatto trasformativo e la radicalità formale di Jeanne Dielman, 23 quai du Commerce, 1080 Bruxelles, capolavoro del 1975 di Chantal Akerman proposto da Rai 3 all’interno di Fuori Orario. Più che un semplice film, Jeanne Dielman è un'esperienza cinematografica che sfida le convenzioni narrative e visive, portando alla ribalta una quotidianità femminile mai raccontata con tale intensità e rigore. La pellicola si impone come un manifesto cinematografico, non solo per il femminismo, ma per un nuovo linguaggio filmico che ridefinisce il concetto stesso di tempo e rappresentazione.

Delphine Seyrig nel poster del film di Rai 3 Jeanne Dielman.

Tre giorni nella vita di una donna

La storia del film di Rai 3 Jeanne Dielman si svolge nell'arco di tre giorni, scanditi dalla routine metodica e quasi rituale della protagonista, interpretata magistralmente da Delphine Seyrig. Jeanne è una vedova che vive con il figlio adolescente in un appartamento di Bruxelles. Ogni giorno è un susseguirsi di gesti ripetitivi: preparare la colazione, fare le pulizie, cucinare la cena, lucidare le scarpe del figlio. Tra un'attività e l'altra, Jeanne riceve occasionalmente clienti per prostituirsi, un'attività che affronta con la stessa impassibile efficienza delle faccende domestiche.

La calma apparente della sua esistenza inizia a incrinarsi il secondo giorno, quando piccoli dettagli disturbano la sua precisione: una patata che cuoce troppo a lungo, un bottone che non si chiude bene. Questo disequilibrio culmina il terzo giorno con un gesto estremo e inaspettato, un omicidio che esplode come conseguenza inevitabile della tensione accumulata.

 

Jeanne, un'icona del quotidiano

Jeanne Dielman, la protagonista del film di Rai 3, non è solo un personaggio, ma un simbolo. Attraverso la sua figura, Akerman esplora la condizione femminile con una profondità rara. Jeanne è l'incarnazione della donna relegata alla sfera domestica, il cui valore sociale è spesso invisibile e dato per scontato. La scelta di Delphine Seyrig per il ruolo è stata cruciale: nota per la sua eleganza e intellettualità, Seyrig trasforma la banalità delle mansioni quotidiane in un dramma intimo e universale.

Akerman stessa ha dichiarato di aver scritto il ruolo pensando proprio a Seyrig, consapevole che vedere un'attrice di tale statura compiere gesti quotidiani avrebbe dato loro una nuova visibilità. Come spiegato dalla regista, "Se avessimo scelto un’attrice che siamo abituati a vedere fare il letto e lavare i piatti, non l’avremmo nemmeno notata". La presenza di Seyrig, invece, rende ogni azione un atto significativo.

Delphine Seyrig

Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles (1975): Delphine Seyrig

La routine come prigione

Il cuore del film di Rai 3 Jeanne Dielman risiede nella rappresentazione del tempo e dello spazio domestico come gabbia invisibile. I gesti ripetuti diventano un rituale che garantisce stabilità e scaccia l’angoscia, come sottolineato dalla stessa Akerman: "Per lei, sapere ogni giorno e a ogni minuto cosa farà la successiva la rassicura". Tuttavia, quando questa routine si incrina, emerge il vuoto esistenziale che Jeanne ha sempre cercato di evitare.

La prostituzione, mostrata senza sensazionalismi, diventa una metafora della mercificazione del tempo e del corpo femminile. Non c'è nulla di erotico nei rapporti che Jeanne ha con i suoi clienti; sono transazioni, estensioni del lavoro domestico, ulteriori compiti da eseguire con la stessa precisione meccanica. Questo approccio privo di enfasi sottolinea la disumanizzazione insita nei ruoli imposti dalla società patriarcale.

 

Il cinema come linguaggio del quotidiano

Akerman rivoluziona il linguaggio cinematografico attraverso l’uso di piani fissi, inquadrature frontali e un montaggio ridotto all’essenziale. Ogni scena è girata con la precisione di un coreografo che vuole rendere visibile l’invisibile. Come ha spiegato Babette Mangolte, direttrice della fotografia, il film è stato meticolosamente pianificato: "Niente era improvvisato. Abbiamo passato due settimane a definire ogni scena, piano per piano, organizzando l'azione in funzione degli spazi dell'appartamento".

L'influenza del cinema sperimentale americano, che Akerman aveva esplorato a New York negli anni precedenti, è evidente. L’incontro con le opere di Michael Snow e Stan Brakhage le aveva dato la libertà di concepire un cinema in cui la narrazione non è il motore principale, ma dove il linguaggio filmico diventa l’oggetto stesso dell’opera.

Delphine Seyrig

Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles (1975): Delphine Seyrig

Un’eredità indelebile

La ricezione iniziale del film di Rai 3 Jeanne Dielman fu controversa. Alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes, molti spettatori abbandonarono la sala, incapaci di sostenere il ritmo ipnotico del film. Tra loro, persino Marguerite Duras, che esclamò: "Questa donna è folle!". Tuttavia, il giorno successivo, cinquanta festival richiesero il film, segnando l’inizio di un percorso che avrebbe consacrato Akerman come una delle cineaste più influenti della sua generazione.

Registi come Todd Haynes, Gus Van Sant, Céline Sciamma e Kelly Reichardt hanno riconosciuto Jeanne Dielman come una fonte inesauribile di ispirazione. Come sottolinea Luc Dardenne, il film ha inaugurato "una nuova era del cinema", dimostrando che il tempo cinematografico poteva coincidere con il tempo della vita quotidiana e che questo tempo poteva appartenere a una donna.

In un’industria dominata da sguardi maschili, Jeanne Dielman si afferma come un atto di resistenza e di affermazione. Non solo ridefinisce il ruolo delle donne davanti e dietro la macchina da presa – con una troupe quasi interamente femminile – ma sfida anche lo spettatore a confrontarsi con ciò che è stato tradizionalmente ignorato o relegato ai margini della narrazione.

A cinquant'anni dalla sua uscita, Jeanne Dielman resta un monumento cinematografico senza tempo, una testimonianza del potere del cinema di dare voce e visibilità a ciò che la società spesso sceglie di non vedere. Come afferma Céline Sciamma: "Essere radicali significa anche essere generosi, ed è questa la forza che Akerman ci ha donato".

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