14 Aprile 1930
Non ci credevano. Pensavano fandonie.
Ma lo apprendevano da due, da tre, da tutti.
Si mettevano affianco,
nella riga del tuo tempo fermatosi di botto,
case di mogli di impiegati e di mercanti.
Era un giorno, un innocuo giorno più innocuo
d’una decina di precedenti giorni tuoi.
Si affollavano allineandosi nell’anticamera
come allineati dal tuo sparo.
Tu dormivi.
Spianato il letto sulla maldicenza dormivi.
E cessato ogni palpito eri placido,
bello, ventiduenne,
come aveva predetto il tuo tetrattico
Tu dormivi stringendo al cuscino la guancia,
dormivi a piene gambe, a pieni mallèoli,
inserendoti ancora una volta di colpo
nella schiera delle leggende giovani.
Tu ti inseristi in esse con più forza,
Il tuo sparo fu simile ad un Etna
in un pianoro di codardi e di codarde.
Oh, s’io avessi allora presagito,
quando mi avventuravo nel debutto,
che le righe con il sangue uccidono,
mi affluiranno alla gola e mi uccideranno.
Mi sarei nettamente rifiutato
di scherzare con siffatto intrigo.
Il principio fu così lontano,
così timido il primo interesse.
Ma la vecchiezza è una Roma
senza burle e senza ciance
che non prove esige dall’attore
ma una completa autentica rovina
Boris Pasternak In morte di Majakovskij
Il “fragile gigante della rivoluzione” si tirò un colpo al cuore il 14 aprile 1930 “nella piccola stanza della komunalka, al numero 15 di vicolo Gendrikov” a Mosca.
Lasciava l’enorme corpo “steso sul pavimento, le braccia spalancate…” Era alto due metri.
“Il tuo sparo fu simile a un Etna / in un pianoro di codardi e di codarde”
Fatale coincidenza, da giorni l’Etna ha ripreso ad eruttare come non mai.
A Majakovskij, morto a 37 anni, Flavio Caroli affida il finale del suo libro, “Trentasette - Il mistero del genio adolescente”, vita e morte di “divini fanciulli” come Raffaello e Van Gogh, Watteau, Toulouse Lautrec e altri ancora uniti dal singolare destino.
In quel finale Majakovskij scrive:
“Ho già accanto a me la pistola usata dodici anni fa come materiale scenico nel film “Non nato per il denaro”. Mi sparerò al cuore. Un mio amico diceva che, dovendo decidersi se uccidersi o meno, bisogna entrare in un ristorante e spararsi se la bistecca è tenera, non dura. Lascerò la lettera che ho scritto l’altro giorno. Tengo ai versi centrali, questi:
Come si dice
l’incidente è chiuso.
Non se ne parli più
La pistola per un film… strano per uno che sta per ammazzarsi pensare ad un film.
E allora parliamo di cinema, il suo.
Cinescenari
Baryšnja i chuligan per il film La signorina e il teppista (1918)
Ragazzi (1926)
L'elefante e il fiammifero (1926)
Il cuore del cinema, ovvero il cuore dello schermo (1926)
L'amore di Sckafoloubov, ovvero due epoche, ovvero un cicisbeo da museo (1926)
Dekabriuchov e Oktiabriuchov (1926)
Come state? (1926)
Il compagno Kopytko, ovvero via il grasso! (1936, ma scritto nel 1927)
Dimentica il caminetto (1936, ma scritto nel 1927)
Storia di un revolver (1928)
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Tutto cominciò nel 1918, con Il cuore del cinema.
"Conosciuta la tecnica del cinema, scrissi un copione che stava alla pari col nostro lavoro innovatore nel campo delle lettere. Nel realizzarlo, la casa 'Neptun' lo deturpò sino alla completa vergogna".
Era la storia dell'amore di un pittore (Majakovskij) per una ballerina (Lilja Brik), e la donna esce dal cuore dello schermo liberata dal pittore .
Nel 1926 Majakovskij ne riprese il soggetto in una sceneggiatura intitolata Serdce kino, ili Serdce ekrana (Il cuore del cinema, ovvero il Cuore dello schermo), ma il film non fu mai realizzato.
Fu così che la “barca dell’amore” cominciò (ma sarebbe meglio dire continuò) ad infrangersi contro il quotidiano.
Majakovskij e il cinema
Dopo il 1917 in Unione Sovietica il cinema entrò a far parte del grande progetto rivoluzionario, non solo come rivoluzione estetica ma, e soprattutto, come rivoluzione culturale, mezzo di conoscenza per il popolo, veicolo di trasmissione di idee.
Qualche anno prima, 1916, i furori futuristi di Filippo Tommaso Marinetti avevano così tuonato:
“Occorre liberare il cinematografo come mezzo di espressione per farne lo strumento ideale di una nuova arte immensamente più vasta e più agile di tutte quelle esistenti. Siamo convinti che solo per mezzo di esso si potrà raggiungere quella poliespressività verso la quale tendono tutte le più moderne ricerche artistiche (…).
Nel ?lm futurista entreranno come mezzi di espressione gli elementi più svariati: dal brano di vita reale alla chiazza di colore, dalla linea alle parole in libertà, dalla musica cromatica e plastica alla musica di oggetti. Esso sarà insomma pittura, architettura, scultura, parole in libertà, musica di colori, linee e forme, accozzo di oggetti e realtà caotizzata”
Vladimir Vladimirovic, il grande ragazzo di Bagdati, blusa gialla e sigaretta sempre a metà, tutto questo l’aveva capito da un pezzo.
Estate del 1913, sulla rivista “Kinezurnal” esce: "Il teatro, il cinematografo e il futurismo."
Intuizioni di un poeta visionario, “nuvola in calzoni” e fazzoletto rosso al collo, che sul cinema precorse i tempi e gli addetti ai lavori, alcune conclusioni successive di Artaud, ad esempio:“… mentre la parola esaurisce l’emozione nel confronto delle parti, colore, musica e gesto impongono un circuito allusivo” sembrano parole sue.
Il nuovo medium, giovanissimo, semisconosciuto, tecnologicamente più attrezzato del teatro, era arrivato, bisognava aprirgli la strada. Quelle di Majakovskij erano riflessioni geniali, vedevano molto oltre, ma non furono mai sistematizzate in un organico discorso critico. In stretta relazione con le teorie emergenti del formalismo russo, a lui interessava la dimensione transmediale dei fenomeni artistici, danza, pittura e fotografia entravano in confronto serrato col metafilm, e certo molta ne avrebbe fatta di strada, ma era un “arcangelo dal passo pesante” così disse di lui la Cvetaeva salutandolo: “ Salve nei secoli Majakovskij!…/ Sbadiglia, saluta e riprende a remare/ con la stanga come un’ala/ d’arcangelo carrettiere” , e bene vide Pasternak: “Solo a lui la novità del tempo scorreva climaticamente nel sangue”.
Certo non gli giovò il riconoscimento di Stalin, “Cominciarono a imporre Majakovskij con la forza, come le patate al tempo di Caterina. Questa fu la sua seconda morte. Di essa egli è innocente” dice ancora Pasternak.
Forse Angelo Maria Ripellino può aiutarci a capire:
“I futuristi, e specialmente Majakovskij (che si trovava allora a Pietrogrado), accolsero la rivoluzione come un uragano che avrebbe spazzato l’accademismo e il vecchiume retorico. Vagheggiavano che il nuovo regime si affrancasse dalla zavorra culturale e da tutta la scialba oleografia dei borghesi. Nel nostro poeta le vicende di Ottobre parvero rinvigorire l’ardore pugnace, la sprezzatura polemica, la gioia esuberante dei colori e dei suoni. Nell’ebbrezza del grande rivolgimento, egli si prodigò in dizioni poetiche, in dispute e nella diffusione di manifesti, che non tardarono a suscitare lo sdegno di nuovi pinzocheri spauriti dalla sua veemenza” .
Bisognava comunque liberare l'arte dalla condizione di isolamento in cui l’aveva collocata la cultura "borghese" per farne il propulsore nella costruzione di una nuova società, questo andava fatto e questo fece, con le parole, con i fatti, con le sue scelte radicali.
Ai drammaturghi scriveva su “Il cinematografo distrugge il teatro”:
“Esaminate l’attività del Teatro d’arte. Scegliendo lavori ispirati alla vita quotidiana, esso s’industria di trasferire sulla scena frammenti di vita, in nessun modo abbelliti. Imita servilmente la natura in tutto, dal modesto stridio del grillo alle portiere sconvolte dal vento. Ma sorgono subito contraddizioni letali, se si crea una prospettiva immaginaria con il sipario di mussolina, o il mare con le lenzuola gualcite. Va ancora bene, se si deve rappresentare un’opera vetusta con un cavallo ogni venti comparse, ma chi porterà in palcoscenico (per dare il senso del reale) chilometri di grattacielo o il sinistro balenìo delle automobili? (…) Qui si avanza, quatto quatto, il cinematografo e dice: ”Se la vostra missione consiste nel copiare la natura, perché mettere in opera il complesso meccanismo teatrale, quando una tela può dare l’oceano in grandezza ‘naturale’ e l’intenso traf?co di una città?”
Il teatro in effetti era un problema, una presenza importante, spesso ingombrante, bisognava conviverci e, dopotutto, migliaia di anni e geni indiscussi a costruirlo avevano un senso.
Ma rimodellarlo, liberarne le potenzialità, conviverci e operare in sinergia, questo era possibile. Il cinema era il presente e il futuro, e il secolo appena iniziato ne avrebbe viste delle belle. Nel cinema linguaggio e tecnologia s’incontravano e interagivano, sembrava uno scandalo, poi tutti capirono che non lo era, ma ci volle tempo.
Lo shock estetico è sempre difficile da digerire, l’eversione rompe quelli che crediamo equilibri e sono invece patetiche illusioni di stabilità, la convinzione che l’attimo sia eterno (oltre che bello) aiuta a vivere, ma crea cocenti delusioni quando si scopre quanto sia effimero.
In primo piano Pasternak, davanti a Majiakovskij, ultimo a destra Eizenstein.
Il cinema era uno “scandalo”, e ogni tempo ha i suoi scandali, anche quelli veri. Agli anni Venti bastarono Stalin e il realismo socialista, e Zdanov fece le cose perbene.
A quel punto l’imbroglio era chiaro.
“Non consideratemi un pusillanime. Davvero non c’è più nulla da fare”.
Ci si sente talmente impotenti, a volte!
Dmitrij Shostakovic aveva già ritrattato quella che la Pravda aveva bollato come “ mostruosità sinistroide comprensibile solo dagli esteti decadenti”, cioè Lady Macbeth nel distretto di Mcensk . La sua quinta sinfonia la sottotitolò Risposta pratica di un compositore a una giusta critica.
Non era pusillanime Shostakovic, ma non era Majakovskij, e passò la vita con la valigia pronta aspettando che Stalin lo spedisse in Siberia.
E invece, scrisse Marina Cvetaeva, “… è arrivato lontano, Vladimir Vladimirovic, molto lontano dal nostro tempo, e in qualche luogo, dietro qualche angolo gli toccherà aspettarci ancora a lungo”.
Ma quando, affannati e scarmigliati, arriveremo noi, lui sarà oltre.
Sarebbe stato un grande critico, un geniale regista e sceneggiatore, un attore da collezione, ma potè solo scrivere, immaginare il cinema, abbracciarne il fantasma, predirne il futuro.
Manipolare il tempo, graffiarlo, raccontare con immagini in movimento cose, fatti, persone riprodotti dalla realtà o creati dalla fantasia, inventare col montaggio un linguaggio mai usato in migliaia di anni, da quando uomo e donna s’incontrarono sotto l’albero della conoscenza, ebbene, Vladimir Vladimirovic sapeva farlo, lo fece poco, l’avrebbe fatto egregiamente.
Ma …
Per voi il cinema è spettacolo.
Per me è quasi una concezione del mondo.
Il cinema è portatore di movimento.
Il cinema svecchia la letteratura.
Il cinema demolisce l'estetica.
Il cinema è audacia.
Il cinema è un atleta.
Il cinema è diffusione di idee.
Ma il cinema è malato. Il capitalismo gli ha gettato negli occhi una manciata d'oro. Abili imprenditori lo portano a passeggio per le vie, tenendolo per mano. Raccolgono denaro, commovendo la gente con meschini soggetti lacrimosi.
Questo deve aver fine.
Il comunismo deve togliere il cinema di mano agli speculatori.
Il futurismo deve far evaporare le acque morte: gli stagnamenti e il moralismo.
Senza questo avremo o il tip-tap d'importazione americana, o i soli "occhi con la lacrimuccia" dei vari Mogiuchin.
La prima di queste due possibilità ci è venuta a noia.
La seconda ancora di più.
Vladimir Vladimirovic Majiakovskij, Cinema e cinema, Mosca 1922
Per chiudere
I fatti di anni lontani alla distanza diventano storie letterarie, reperti museali, libri di storia, documentari sgranati che suscitano ammirazione, sorpresa, a volte anche orrore. Poi il fuoco torna sul presente e inghiotte tutto lo spazio critico possibile, spesso lo riduce in pillole, ci illude di essere sapienti, di avere una risposta per tutto,E sul passato una polvere sottile si posa come sui mobili di una vecchia casa.
Ma c’è chi sfugge a questa regola e vive in un eterno presente, Vladimir Vladimirovic Majakovskij è uno di loro.
Io vedo chiaro / d’una chiarezza allucinante / e il vostro trentesimo secolo / sorvolerà lo sciame di inezie / che dilaniano il cuore.
E alla fine una domanda: era giusto “Uccidere il chiaro di luna?”
La risposta è la morte di Majiakovskij.
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Bibliografia di riferimento:
Angelo Maria Ripellino, Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia, Einaudi, 1959
Flavio Caroli, Trentasette - Il mistero del genio adolescente, Mondadori,1996
Per un’ analisi a più voci molto ampia e completa sul tema Majakovskij e il cinema: Vladimir Majakovskij. Visione ed eversione di un'opera totale, 2012, Napoli, Liguori a cura di Alfonso Amendola, Annamaria Sapienza
Serena Vitale, Il defunto odiava i pettegolezzi, Adelphi, 2015
Arlo Bigazzi, Chiara Cappelli, Majakovskij! Il futuro viene dal vecchio ma ha il respiro di un ragazzo - Cantata per Vladimir Vladimirovic, Materiali sonori, 2020
www.paoladigiuseppe.it
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