Regia di Martin Butler, Bentley Dean vedi scheda film
Antropologicamente, eccellente. Ma anche cinematograficamente ottimo. La fotografia di Bentley Dean (che di questo film è – al pari di Martin Butler - anche produttore, regista e sceneggiatore) è splendida, così come le scenografie, che non sono nient’altro che pura natura, con aggiunta di qualche artefatto dei primitivi: Tanna è un’isola di Vanuatu, un arcipelago dell’Oceania di cui Tanna rappresenta la principale attrattiva, per via di un meraviglioso vulcano.
Che è parte centrale del film: meravigliose le scene finali, tra i lapilli fumanti che salgono dai crateri per condurre i protagonisti verso l’esito tragico.
Eccellente è anche la sceneggiatura: asciutta, lascia trasparire la vita quotidiana dei primitivi che – non lo dimentichiamo – in gran parte siamo noi: vi deriviamo da 200mila anni come homo sapiens sapiens, e da almeno due milioni come primati.
Degno di nota è che la produzione rispetta la realtà: i fatti storici sono realmente accaduti, per il grosso; gli attori sono tutti aborigeni, che a tempi della produzione (2015, per un film ambientato nel 1987, ma che potrebbe esserlo nel ‘500 d.C come nel ‘500 a.C, o ben prima ancora!) non avevano forse mai visto un film.
Infatti il testo esalta la loro orgogliosa indipendenza dai colonialisti, sia cristiani (visti negativamente come troppo strani: perfino il primitivo fugge dai loro costumi, dicendo «mi fanno paura»), tutta gente che nei fatti si è rivelata loro nemica, in quanto tesa a sopraffarli, per quanto fossero diversi i piani di tale prevaricazione, più materiale o più mentale.
Da loro dunque il tempo si è fermato, o – per meglio dire – forse non si è mai messo in moto, se parlassimo con le nostre categorie, di occidentali.
Ma, con piglio antropologico, non c’è solo certo esaltazione del mondo primitivo: non c’è giudizio, ma solo mostrare quel che siamo in quanto primitivi. Perché è vero che la scienza antropologica ha mostrati enormi affinità tra popoli primitivi che non hanno mai avuto rapporti diretti fra di loro. Il che fa legittimamente credere che ovunque, prima del progresso - arrivato variamente in vari luoghi – certi comportamenti di fondo sono stati simili, poiché affondavano in pratiche analoghe a quelli dei nostri antenati pre-umani.
Tutto ciò è stati dimostrato dall’evoluzionismo, e di tale primitivismo si vedono anche gli effetti negativi: come la fine del matrimonio concordato, per lasciare spazio alla libera elezione reciproca degli sposi. Commuovente è il passaggio di civiltà che il film mostra, e che chissà quanto volte e in lande diversi è accaduto in modo simile, e ha richiesto faticosissimi assaggi di più generazioni, e dunque di secoli.
Ma, del resto, anche in Italia l’estinzione del matrimonio come accordo fra maschi influenti nella propria società è avvenuto solo poco tempo fa: cioè fra l’800 e il ‘900, grosso modo.
La nudità non coperta da una ingiustificabile vergogna; i costumi e gli ornamenti vegetali; il contatto diretto con la natura, e il cielo, da noi oscurato con l’inquinamento luminoso; il contatto stupefacente con tutto da parte di mani nude e, soprattutto, di piedi nudi: tutto ciò, che è storia, nostra, è mostrato per quello che. E di suo è meraviglioso, tanto quanto è istruttivo.
Così come è commuovente la vena filosofica di questi primitivi: una vena del tutto credibile. Infatti tutti gli esseri umani, tutti noi, non possiamo non porci delle domande esistenziali di fondo: la differenza, semmai, sta nella accuratezza con cui ci procuriamo materiali per delle risposte che siano il più approssimativamente attendibili, non grossolane, non precipitose, non contrarie all’evidenza…
Un tragico, meraviglioso inno all’umanità. Umanità che in Australia ha ancora possibilità di mostrarsi per come è: testimone credibile di noi stessi, per quanto spesso vergognosamente abusato, e costretto a snaturarsi in nome del progresso.
E qui un eroismo traspare dalle parole – che qui parafrasiamo - del capo tribù: «non ci siamo piegati ai colonizzatori… non ai cristiani… non ai soldi… Cerchiamo noi di non aggiungere più i nostri morti»
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