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Uno, due, tre!

Regia di Billy Wilder vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Uno, due, tre!

di Dany9007
8 stelle

Un po’ come Hitchock con i suoi capolavori del brivido, Billy Wilder tra gli anni ’50 e ’60 sembrava mettere a segno uno dopo l’altro degli assoluti gioielli della commedia. Anzi a essere più corretti, fino a qualche anno prima lo stesso Wilder non era secondo a Hitchock anche nel genere noir (La fiamma del peccato porto proprio il regista inglese a scrivere un telegramma di complimenti al collega asserendo “Dopo La fiamma del peccato, le due parole più importanti nel mondo del cinema sono "Billy" e "Wilder”). Con Uno, due, tre! Wilder impronta una vicenda sempre più frenetica ed esplosiva nell’evoluzione della trama, coadiuvato da un vulcanico James Cagney che superata la sessantina non è per nulla meno domo rispetto ai suoi ruoli gangster come La furia umana. Nei panni del dirigente McNamara, a capo della divisione della multinazionale Coca Cola e installato a Berlino ovest  con l’ambizione di concludere importanti contratti con le controparti sovietiche, ecco che invece dell’agognata promozione che gli permetterebbe di trasferirsi a Londra, vede appiopparsi dal suo superiore la gestione della svampita nipote diciassettenne, la quale gli complica ulteriormente la vita innamorandosi e sposandosi di soppiatto con un giovane comunista convinto e ferreo critico di tutte le caratteristiche del mondo capitalista occidentale. Ecco che dunque McNamara dovrà setacciare tutto il suo talento di personaggio risoluto e dalla creatività dirompente per continuare a rattoppare una tela che rischia di disfarsi in ogni momento. Wilder naturalmente non si accontenta di elaborare una vicenda che è un crescendo rossiniano di capovolgimenti di situazioni ed imprevisti; al contrario arrichisce il tutto con dei tocchi pungenti di satira politica, dai quali tutti i personaggi ne escono graffiati: gli americani, con McNamara che si erge a campione del genere, si dimostrano prevaricatori e ritengono che col denaro si risolva ogni questione, la delegazione russa (strepitosa!) è un susseguirsi di clichés circa la struttra estremamente rigida dell’apparato sovietico (e delle sue falle di corruzione) così come del clima di spionaggio, tant’è che si scopre che persino nella stessa delegazione vi è un membro del KGB!; ma non vengono nemmeno risparmiati i tedeschi, con il loro zelo verso il proprio responsabile riecheggia la dedizione al Reich di una manciata di anni prima, in particolare di dialoghi con l’assistente Schlemmer (che batte i tacchi ad ogni ordine ricevuto), fanno emergere la storica contraddizione di quella nazione durante il nazismo (ogni volta che viene interrogato su quel periodo Schlemmer dichiara di non averne saputo nulla). Impossibile non ribadire l’apporto essenziale che proprio Cagney offre al film, sostanzialmente chiudendo con questo suo ultimo ruolo di rilievo (riapparirà 20 anni dopo nel film Ragtime di Milos Forman) una carriera sfavillante ed eclettica.

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