Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film
Tra i più commoventi ritratti del cinema del dopoguerra, spicca senza ombra di dubbio Umberto D. A questa pellicola è spesso associata una battuta di Giulio Andreotti, all’epoca già esponente di spicco della Democrazia Cristiana e Sottosegretario: “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Forse in questi termini la frase non fu mai detta, ma sicuramente Andreotti ne confermò la sostanza: il cinema neorealista con il suo modello intriso di situazioni sofferte e prive di speranza sicuramente non faceva buona pubblicità ai partiti di governo, così come faceva storcere il naso all’area cattolica che non vedeva rappresentati i valori tipici di una Cristianità fatta di solidarietà e di riscatto. Nella messinscena livida e mortificante, regista e sceneggiatore misero il dito nella piaga sulla condizione di estrema povertà che viveva il nostro paese nei primi anni del dopoguerra. Se da un lato il periodo post bellico fu caratterizzato da una spinta che diede anche al cinema nuova linfa (proprio l’anno antecedente alla realizzazione di Umberto D. venner girato il primo kolossal statunitense a Cinecittà, Quo Vadis?, che aprì alle grandi produzioni le porte di quella che sarebbe di lì a poco divenuta la Hollywood sul Tevere) la città di Roma così come la gran parte della nazione ancora languiva sotto le piaghe dell’inflazione e di condizioni di vita estreme; tanto per dirne una, gli stessi spazi di Cinecittà, fino a una manciata di anni prima erano utilizzati come campo di accoglienza per gli sfollati. Senza andare ad indagare nelle aree più sofferenti del proletariato (lo farà qualche anno dopo con Il tetto), De Sica ci narra la vicenda di un ex funzionario ministeriale, Umberto Domenico Ferrari, una persona distinta, rimasta sola e ridotta letteralmente alla fame: le 18.000 lire al mese di pensione gli bastano appena per pagarsi una misera stanza in affitto e costretto a mille economie. In modo accorato il regista ci mostra quindi la discesa verso l’umiliazione e la lotta per la dignità del protagonista, costretto a vendere il proprio orologio o dei libri a cui era affezionato per qualche migliaio di lire. Lo vediamo doversi adeguare alle piccole astuzie per restare ricoverato alcuni giorni in una corsia d’ospedale pur di avere un tetto sopra la testa, arriva persino a decidere di chiedere l’elemosina (una delle sequenze più struggenti della cinematografia italiana), trovandosi ancor più straziato nel combattere con il rispetto per sé stesso. De Sica inoltre ritrae un contesto spietato: la solidarietà tra i pensionati è al lumicino (del resto bene o male tutti versano in condizioni precarie), stessa cosa tra ex colleghi o conoscenti i quali appena odorano la richiesta di un prestito si dileguano prontamente. Ancor più glaciale il ritratto della borghesia più benestante (la padrona di casa in primis) che si dimostra del tutto priva di scrupoli nel vessare il protagonista. Le figure positive sono ridotte alla servetta Maria, che peraltro è forse ancora più sola del sig. Umberto nella tragedia che sta vivendo: 17enne, è rimasta incinta frequendando due militari, non sa nemmeno con certezza chi sia il padre ed entrambi rifiutano di assumersi responsabilità, senza contare che appena scoperto il suo “stato”, è consapevole che verrebbe cacciata dalla padrona di casa senza poter far ritorno al paese natale dove verrebbe rifiutata a sua volta dalla famiglia d’origine. L’altra figura positiva che si intravede è il malato in ospedale (interpretato da Memmo Carotenuto) che spiega qualche astuzia al povero Umberto per imbonire le suore e garantirsi un soggiorno più lungo in ospedale. Infine è impossibile non citare il fedele amico Flaik, il cagnolino che accompagna il protagonista nelle sue sventure, è lui il vero protagonista di alcune sequenze straordinarie: la sequenza in cui viene impiegato in un piccolo “numero” tenendo il cappello in bocca e stando sulle due zampe per impietosire i passanti e raccogliere qualche elemosina, salvo essere subito interrotto dal proprietario che non riesce a sacrificare la sua dignità di fronte ad un conoscente benestante, la meditazione del Sig. Umberto che pensa di lasciarlo in una pensione per cani, rendendosi presto conto del triste destino che attende gli animali, e per ultima la sequenza finale in cui sarà proprio l’istinto e la paura di Flaik a salvare la vita al Sig. Umberto ormai deciso a suicidarsi. Il film si chiude proprio inquadrando l’anziano Sig. Umberto e Flaik che, giocando insieme si allantanano, forse con qualche speranza in più e ancor più attaccamento alla vita? Letture personali a parte il pessimismo del film è stato tale da non attirare particolare successo al botteghino ma non ostacolò il suo successo anche all’estero, venendo persino candidato agli Oscar per il miglior soggetto di Cesare Zavattini.
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