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Taxi Driver

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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Dany9007

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Taxi Driver

di Dany9007
10 stelle

Taxi Driver condivide con altri film una sorta di Olimpo dei cult. Visto la prima volta a 16 anni, pensavo di trovarmi di fronte ad una sorta di variazione del tema de Il giustiziere della notte, ed ecco che invece mi si presentava un’opera completamente da scoprire. Vi sono state scritte dozzine di monografie, si è cercato di vivisezionare ogni sequenza ed ogni inquadratura, ha avuto altrettanti tentativi di imitazione nella rappresntazione di alcuni archetipi di personaggi. Ancora oggi tuttavia ad una sua visione lascia intendere qualche sfumatura in più, qualche passaggio che potenzialmente poteva essere sfuggito. Il lavoro di Scorsese alla regia si basa sulla sceneggiatura altrettanto strepitosa di Paul Schrader (sceneggiatura che in più occasioni si cimentò a rielaborare ad esempio con il successivo Hardcore da lui stesso diretto) e che a sua volta sembra un crogiolo di riferimenti a fatti di cronaca (la macchinazione di Travis che medita di uccidere un politico fa riferimento ad un attentato di qualche anno prima), a fonti letterarie (la passività e la distorsione del protagonista Travis dalla realtà hanno parecchio in comune con il protagonista de Lo straniero di Camus, nella versione originale Travis si autodescrive come: “I’m God’s lonely man” chiaro riferimento ad un testo di Thomas Wolf, la sua solitudine ricorda il racconto di Poe L’uomo della folla) passando infine per riferimenti cinematografici, in particolare un film che ebbe risalto eccezionale per regista e sceneggiatore: Sentieri selvaggi di John Ford. Di questo film Scorsese si è sempre detto grande estimatore e ricordò anzi lo stupore nel trovarsi davanti un western completamente atipico; Scorsese ironicamente disse che le aspettative da un western, per un adolescente degli anni ’50 erano di andare a vedere John Wayne che sparava agli indiani, ma ecco che Sentieri selvaggi portava sullo schermo una vicenda di tutt’altro spessore. Proprio come il protagonista di Sentieri selvaggi Ethan Edwards(iconicamente interpretato da John Wayne che qui diede una delle migliori prove della sua carriera), Travis Bickle si presenta come un reduce da un conflitto bellico. Entrambi condividono una vita emarginata dalla società: Ethan non ha una vera famiglia che lo accoglie (e se c’è un nucleo familiare lui è sempre un ospite), i fantasmi del passato riemergono e si incanalano nel suo profondo odio verso gli indiani che si alimenta ulteriormente quando vede la famiglia di suo fratello massacrata e sua nipote rapita. In una ricerca spasmodica che dura oltre 5 anni però il ritrovamento della nipotina, ormai sposa di un capo tribù non riesce a placare la sua ira, tanto da volerla uccidere poichè ormai  parte del mondo che lui detesta e disprezza. Ecco tanti elementi che portano questo personaggio ad avere parecchio in comune con Travis: la continua sensazione di insoddisfazione e solitudine, il tentativo, ben poco liberatorio, di trovare un senso nella propria esistenza in particolare attraverso il riscatto di una creatura innocente da un contesto dal quale lei non vuole sostanzialmente essere riportate alla loro precedente vita (sia la giovanissima Natalie Wood così come l’altrettanto giovane Jodie Foster, rifiutano l’aiuto che viene loro proposto dal “salvatore” preferendo il modello di vita che hanno ormai elaborato, sia esso tra i pellerossa o tra i papponi). Abbiamo anche altri dettagli in comune: un razzismo che erode entrambi i protagonisti, l’esigenza di uno scontro fisico con i propri nemici, difatti qualcuno ha notato delle somiglianze nel primo faccia a faccia tra Ethan ed il capo Comanche, Scar così come tra Travis ed il pappone Sport (in quest’ultima sequenza peraltro forse non è un caso che Sport definisca Travis un “cowboy”). Attinenze a parte, regia e sceneggiatura riescono davvero a fondere un clima paranoico e violento, attraverso una commistione di dialoghi, luci  e inquadrature che di volta in volta lasciano stupiti. La voce narrante di Travis è un fiume in piena delle sue paranoie, attraverso un’interpretazione di DeNiro che forse è ancora oggi la più iconica della sua carriera; capace di costruire un personaggio per cui si prova compassione ma che è sempre sull’orlo di esplodere in accordo alla propria schizofrenia. Le note della straordinaria colonna sonora di Bernard Herrmann, a cui è dedicato il film, che uscì dopo il suo decesso, trasmettono tutto il senso di malinconia del protagonista, alternate a motivi più ritmati (la sequenza in cui Travis inizia ad allenarsi in casa). Ci si potrebbe perdere nell’analisi di un film che racchiude talmente tante tematiche e sequenze concentrate in meno di 2 ore di film, che quasi potrebbero stare in piedi come storie a sé stanti: l’esperienza di lavoro come tassista e la descrizione della città, l’approccio iniziale con una potenziale love story con Betsy, la parentesi “terroristica” e infine quella da “giustiziere”. A stimolare la curiosità su questo film, Quentin Tarantino nel libro Cinema speculation avanza un’interessante (o forse provocatoria) teoria che merita comunque una riflessione: sebbene la critica abbia sempre attribuito le paranoie di Travis ai danni provocati dalla sua esperienza militare, in comune con la generazione di giovani mandati in guerra, Tarantino propone un’altra lettura: forse Travis non è mai stato in guerra, non vi è nulla in fondo a provarlo. Il giaccone verde militare forse è un acquisto in un qualunque negozio di New York; del resto notiamo che quando Travis decide di acquistare un’arma sembra avere un approccio amatoriale (dice di volere comprare una 44magnum perchè l’ha citata un cliente nel suo taxi e finisce per comprare tutto ciò che il venditore gli propone), si nota anche che Travis è sostanzialmente un bugiardo: sia nei dialoghi con altre persone che nelle lettere scritte ai genitori lui falsifica spesso la realtà, dunque perchè non avrebbe potuto farlo anche relativamente alla sua esperienza in guerra? Tarantino inoltre evidenzia che Travis sembra avere un rapporto da neofita con le persone di colore, mentre, a suo avviso, chiunque avesse avuto esperienze in guerra/nell’esercito avrebbe ampiamente conosciuto e frequentato persone di altre etnie. Preciso che questa è solo una tesi affascinante, tant’è che vi sono altrettanti elementi che vanno a confutarla: proprio l’abbigliamento militare di Travis sembra ricordare quello di Ethan Edwards che si presenta con una divisa nella sequenza iniziale di Sentieri selvaggi, mentre si allena vediamo delle cicatrici sulla schiena di Travis, potenzialmente potrebbero essere il risultato di scontri in battaglia. Come già detto, Taxi driver continua ad essere una fonte sconfinata di letture e di interpretazioni, forse il suo fascino continua ad accresce anche per queste ragioni.

 

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