Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film
Questa è la mia vita
“Vivre sa vie” mi sembra uno dei migliori film di Jean-Luc Godard, forse quello che più di ogni altro affiderei ai posteri, insieme innovativo, personale e accessibile ad un vasto pubblico. Ciò che lo rende così speciale è la sua intensità da tragedia contemporanea, con il personaggio di Nanà che percorre tutte le tappe sulla scala della degradazione e conserva una sorta di candore che le esperienze umilianti non possono cancellare. Straziante ma mai lacrimoso, diviso in dodici capitoli con tanto di paragrafo introduttivo alla maniera di un racconto letterario (e il nome Nanà ci indica una probabile derivazione da Zola), è uno dei film più rappresentativi della Nouvelle vague, anticonformista e a tratti sperimentale anche nelle tecniche di ripresa (nella prima sequenza Nanà e il suo fidanzato sono sempre ripresi di spalle). Ogni capitolo ci fornisce un aspetto differente della vita e della personalità di Nanà; anche il registro stilistico è piuttosto ampio, passando dalla commozione della scena in cui la protagonista guarda al cinema “La passione di Giovanna d'arco” di Dreyer e piange, identificandosi in lei, all'esuberanza del suo ballo scatenato nella sala da biliardo (momento memorabile), dalla sociologia del capitolo dedicato al comportamento delle prostitute alla tragedia del finale. La sequenza in cui Nanà discute di amore e di filosofia del linguaggio al bar con il filosofo Brice Parain è un pò lunga, certo, ma ha un suo interesse nel chiarire ulteriormente le motivazioni della ragazza, e non ha la pesantezza di altre sequenze analoghe girate da Godard in altri film. Inoltre, è un'opera molto personale poiché la relazione fra il regista e la sua attrice-musa, allora già in declino e conclusasi pochi anni dopo, può essere collegata a quella violenta fra sfruttatore e prostituta, dando un ulteriore sapore di verità alla rappresentazione. Memorabile e bellissima, in ogni caso, la ventiduenne Anna Karina, prostituta dal cuore d'oro col caschetto di capelli alla Louise Brooks, che trova qui la sua migliore interpretazione di sempre; lo sfondo parigino è ben inserito nel racconto e tutto funziona. Premio speciale della giuria a Venezia nell’anno in cui vinsero ad ex-aequo “L’infanzia di Ivan” di Tarkovskij e “Cronaca familiare” di Zurlini.
voto 9/10
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