Regia di Spike Jonze vedi scheda film
#UNQUARTODISECOLODICINEMA
Inizialmente per l’anno 2013 avevo pensato a The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese, ma il rewatch di Her di Spike Jonze mi ha convinto a premiare quest’ultimo film in quanto più raffinato, coeso e profondo sia nella forma che nella sostanza. Senza nulla togliere al filmone scorsesiano però, che rimane una delle pellicole più riuscite del regista italoamericano, e che è stata tra l’altro uno dei primissimi film che recuperai da neocinefilo quando ancora gattonavo nei meandri della Settima Arte. Per una strana, o forse non così tanto, fortuita coincidenza, Spike Jonze ha partecipato come attore in The Wolf of Wall Street, quindi alla fine il passaggio di testimone non è poi così doloroso ripensandoci a mente fredda. Scorsese è e rimarrà uno dei miei registi preferiti, ma in questo quarto di secolo di cinema altri concorrenti hanno avuto la meglio nel colpire il mio cuoricino cinefilo.
Tornando su Her, dunque, sin dalla prima visione l’ho reputato uno dei più grandi film di fantascienza del XXI secolo, ma anche uno dei film romantici più riusciti nel suo genere. Jonze si è sempre dimostrato un regista molto particolare nel dirigere i suoi film, a partire dalla stretta collaborazione con il folle sceneggiatore/regista Charlie Kaufman fino a “Nel paese delle creature selvagge” scritto finalmente di suo pugno, emancipandosi finalmente dall’influenza autoriale di Kaufman. Con Her il regista raggiunge la sua maturità massima come regista e sceneggiatore, riprendendo il filo conduttore di tutta la sua filmografia nella messa in scena di uomini/bambini comuni in crisi d’identità alla disperata ricerca di un senso nella propria vita. A differenza dell’istrionico e fantasioso Nel paese delle creature selvagge, in cui la macchina da presa era in costante e rapido movimento nel mostrare la vivacità del suo protagonista bambino alle prese con i suoi amici mostruosi, in Her la regia è molto più posata – quasi statica – nei suoi movimenti di macchina lenti e meditivi atti a scandagliare le passeggiate urbane e riflessive del protagonista alle prese con un’intelligenza artificiale.
Per Jonze la fantascienza non è nient’altro che un semplice e unico campo visivo centrato sul corpo attoriale di Joaquin Phoenix, che riesce magnificamente a racchiudere tutto lo spettro emotivo concernente l’amore dialogando con l’amabile IA doppiata da Scarlett Johansson. Di fatto Her è un’interessante variante sci-fi di “Before Sunrise“, dove in entrambi i film i due innamorati parlano ininterrottamente e sinceramente dei propri sentimenti, delle proprie emozioni, delle loro relazioni, del mondo circostante, sempre in perenne movimento e in lunghe inquadrature che mostrano anche lo sfondo urbano su cui si staglia la loro amabile dissertazione sulla vita in tutte le sue sfumature più semplici e complesse. La messa in scena può essere vista quindi come un elegante e nascosto valzer (splendido il movimento roteante a 360 gradi del protagonista che mostra alla sua IA Samantha la sua felicità “danzante”), in cui l’atipica coppia di Her si apre a un’inaspettata reciprocità che li cambierà per sempre sotto le note di un’avvolgente, semplice e delicata colonna sonora fatta di semplici motivetti di piano e chitarra.
La straordinarietà del film sta, dunque, nel mettere in scena “fantascientificamente” un rapporto sincero, credibile, intimo, profondo e catartico tra un’IA e un uomo distrutto dall’amore senza scadere nel patetismo e nel ridicolo. Tutto ciò avviene, infatti, attraverso un minimalismo estetico atto a risaltare la freddezza del mondo “lucente” e “colorato” esterno – sia negli interni che negli esterni – degli esseri umani contrapponendolo alla fotografia calda che avvolge, invece, dei suadenti dialoghi che caratterizzano l’inaspettato amore transumano che nasce, cresce e muore tra Theodore Twombly e Samantha. Her trascende quindi i confini del genere romantico e della fantascienza per esplorare le contraddizioni e nuovi possibili sincretismi di un sentimento, l’amore, che non ha mai smesso di abbondonare l’essere umano anche nel futuro lontano e “distopico” di Her. La pellicola è, di fatto, uno sguardo sincero sia al futuro che al passato (digitale e analogico) delle relazioni umane assolutamente non giudicante e assolutorio, in cui alla fine ciò che più è importante è la crescita e la maturazione che un rapporto di coppia può darti, ossia tutti quei cambiamenti che portano un essere umano ad evolversi e a migliorarsi nel suo relazionarsi con gli altri. Theodore Twombly ritrova quindi alla fine del suo percorso transumano con Samantha una nuova centratura emotiva, che lo porterà a superare il suo lutto amoroso e ad accettarsi finalmente come una persona complessa e fallibile, comprendendo nuovi lati di un sentimento che può mutare pure gli algoritmi di un sistemo freddo e binario. Ritrovando, così, nel suo sguardo finale alla metropoli pulsante e al tempo stesso alienante con accanto la sua amica Amy, un nuova via per vivere.
Her è la quintessenza di Spike Jonze, che non ha più realizzato un film da allora ma che ha segnato più di un genere, regalando alla Settima Arte una nuova gemma (profetica) da incastonare nella sua storia e da tramandare ai posteri, che oggi più che mai non potranno non fare parallelismi tra la propria vita e il mondo di Her, che ieri era fantascienza mentre oggi è (cruda?) realtà, nel bene e nel male (sì sto parlando proprio di OpenAI e affini!). Joaquin Phoenix non è più stato così bravo dopo questo capolavoro. C’è bisogno ancora di Spike Jonze…chissà quando ritornerà con un film per il cinema…ai posteri l’ardua sentenza.
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