PRESENTATO AL FESTIVAL DI CANNES NEL 2013
VISTO IN STREAMING SU RAI PLAY NEL 2025
C'è grande suggestione visiva ma un equilibrio narrativo fragile. Ambientato nella Patagonia (Argentina) degli anni Sessanta del secolo scorso, The German Doctor, di Lucia Puenzo (figlia d'arte, suo padre è Luis Puenzo, vincitore di un premio Oscar per il film La storia ufficiale, del 1985) racconta l’incontro tra una famiglia di origine tedesca e un uomo dai modi gentili che si presenta come dottor Helmut Gregor: è Josef Mengele, il medico di Auschwitz. Attorno a loro, una comunità di lingua germanica che lo accoglie con rispetto, quasi con venerazione, come se l’orrore del nazismo fosse solo un’eco lontana. È uno degli aspetti più inquietanti messi in luce dal film: la tolleranza, o addirittura la simpatia, che alcuni ambienti lontani dall’Europa riservarono ai criminali nazisti in fuga.
La fotografia (Nicolás Puenzo, fratello della regista) leggermente desaturata, dominata da toni freddi e pastello, restituisce un’atmosfera sospesa, da innocenza apparente, dietro la quale pulsa un’inquietudine costante. La cineasta di Buenos Aires costruisce un contrasto visivo fra purezza e orrore, fra la neve patagonica e il passato oscuro che essa nasconde. Anche la colonna sonora, con le sue inflessioni folk quasi fuori luogo, contribuisce a creare un senso di spaesamento.
Però la pellicola non riesce sempre a mantenere la tensione che promette. Il ritmo alterna lentezze ipnotiche a brusche accelerazioni – come quella dei sospetti e poi della denuncia della fotografa, che sembra essere snobbata dalle autorità – e la struttura si frammenta in troppe linee narrative: il nascondiglio di Mengele, la famiglia che lo ospita, la gravidanza a rischio della madre, la caccia ai nazisti da parte di Israele, il sogno del padre di produrre bambole in serie. Proprio le bambole, con il cuore che batte, offrono una metafora potente: la riproduzione artificiale della 'vita perfetta', eco della follia eugenetica della razza ariana. Ma il film si limita a mostrarla, senza farla vivere davvero nello spettatore.
Le interpretazioni reggono gran parte dell’impianto:
Àlex Brendemühl (spagnolo di origine tedesca, protagonista de
Il Sabba, 2020) disegna un Mengele sinistramente composto, mai sopra le righe ma forse troppo addomesticato;
Natalia Oreiro (fra i protagonisti della serie tv di successo
Santa Evita)
, nel ruolo della madre, restituisce una credulità dolente e fragile;
Diego Peretti (
La rapina del secolo, 2020), il padre, è il più umano e sospettoso, l’unico vero argine morale. La giovane ed esordiente
Florencia Bado, nei panni di Lilith, offre un punto di vista innocente e disarmante, mentre la fotografa interpretata da
Elena Roger (anche per lei un bel po' di tv, con una parte importante nella serie
Intrecci del passato) porta una tensione civile che il film non sfrutta fino in fondo.
Suggestivo nei paesaggi, interessante nelle intenzioni, questo film rimane un’opera elegante ma irrisolta, prigioniera del suo stesso pudore.
Voto: 5,7. Grado di rivedibilità: 4/10.
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