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Non c'è pace tra gli ulivi

Regia di Giuseppe De Santis vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Non c'è pace tra gli ulivi

di axe
7 stelle

Secondo dopoguerra, Ciociaria, territorio di media montagna ubicato nel basso Lazio. La popolazione di una terra amara vive un disagio ancor più profondo a causa dei recenti aspri combattimenti. Il benessere, nel ceto popolare, si misura in base al numero di pecore possedute. Approfittando delle difficoltà dei conterranei, Agostino Bonfiglio ha enormemente accresciuto il suo gregge. Egli, tra l'altro, ha rubato le pecore di Francesco Dominici, tornato in patria ed in famiglia dopo diversi anni di guerra e prigionìa. L'aver subito un così grave torto da Bonfiglio, espone Francesco alla derisione della comunità e la sua famiglia alla povertà estrema. Francesco, spinto dall'amore, ricambiato, per Lucia, promessa dalla famiglia ad Agostino, sceglie di riprendere le sue pecore. E' tuttavia scoperto ed arrestato. Al processo, i conoscenti rifiutano la testimonianza in suo favore ed egli finisce in carcere. Per Agostino è l'inizio di un percorso che lo porterà alla rovina. Il matrimonio con Lucia va a monte a causa di Maria Grazia, amante dell'uomo e sorella di Francesco, violentata da Agostino nel frangente del furto delle pecore; egli è sempre più inviso ai conterranei a causa della sua avidità. Ed infine, Francesco evade e si prepara a far vendetta. Dramma neorealista d'ambientazione "pastorale", "Non C'è Pace Tra Gli Ulivi" è un film diretto da Giuseppe De Santis, il quale fa riferimento, nel titolo, ad una pianta molto diffusa nella terra d'ambientazione del film, che il regista ben conosce in quanto prossima alla sua zona d'origine. Egli, pertanto, è in grado di descrivere con efficacia il contesto sociale. I monti della Ciociaria sono abitati da genti povere, le quali vivono da osservatrici i grandi - generalmente, negativi - eventi storici. L'invasione tedesca, le battaglie, l'avanzata alleata, sono fatti i quali interessano i ciociari esclusivamente per le ulteriori difficoltà che recano loro. La società è regolata da dinamiche ancestrali; la (relativa) ricchezza è rappresentata dalle greggi, che i pastori, nelle stagioni fredde, conducono in direzione del mare e successivamente riportano in quota. L'"outsider" della comunità è Agostino Bonfiglio, il quale, durante la guerra, ha saputo trarre vantaggio dalle difficoltà altrui per accrescere il proprio patrimonio, anche in modalità disoneste. Dal temperamento sanguigno, prepotente e sbruffone, il pecoraio - interpretato da Folco Lulli - finisce per rimanere vittima della propria avidità e dei propri istinti. Il controverso rapporto che instaura con l'ambigua Maria Grazia (Maria Grazia Francia) gli "costa" il matrimonio con Lucia (una Lucia Bosè assai sensuale); l'aver assunto, a suo esclusivo vantaggio, la gestione di beni di un ricco possidente, del tutto estraneo alle dinamiche popolari, gli aliena le simpatie - di certo non spontanee - degli altri autoctoni. Quando Francesco (Raf Vallone) torna da evaso in Ciociaria, assume le vesti ed il ruolo del giustiziere. Tuttavia, egli non è benevolo nei confronti della sua gente, essendo stato dapprima colpito dal discredito conseguente l'aver subito un furto senza reagire, e di seguito, recuperato il maltolto, abbandonato da tutti, compresa quella Lucia con la quale progettava una fuga ed una vita altrobe. Benchè braccato dai carabinieri, guidati da un poco convinto maresciallo (Gabrielle Riccardini), grazie all'aiuto dell'intera comunità locale, Francesco, a seguito di un lungo inseguimento, riesce a far giustizia, non prima che un Agostino ormai folle di terrore, lasci dietro di sè una vittima, Maria Grazia. Il regista ben descrive le rigide dinamiche che regolano la vita dei pastori ciociari; ricchezza materiale e tutela (anche apparente) della reputazione sono al primo posto. Per il vero sentimento, sembra non esserci spazio. Lucia non ha alcun interesse a vivere con Agostino; ma l'hanno i di lei genitori, i quali la costringono ad un matrimonio d'interesse. Quando Maria Grazia rende pubblica la sua torbida relazione con Agostino, la mamma si dispera, non per il fatto in sè, bensì per la vergogna che ciò reca alla sua famiglia, in realtà afflitta da un problema ben più grave, il trovare cosa mettere sotto i denti. Ed un'altra mamma appare nel racconto; è la mamma di Agostino, la quale è consapevole del male fatto dal figlio, ma accetta - e spinge ad accettare - gli accadimenti con rassegnazione. Altro elemento che il regista evidenzia, è la distanza tra il "mondo dei pastori" e l'"alta società". Conoscenza, potere, la vera ricchezza sono appannaggio di altri, con i quali i miseri personaggi del racconto entrano fugacemente in contatto; può esservi tra loro occasionale condivisione d'interessi (difesa nel processo, affidamento della gestione dei beni) ma non altro. Il ritmo del racconto è sostenuto; il regista è presente in scena nel ruolo di narratore fuori campo. La sua dichiarazione di origini nel basso Lazio lo rende, agli occhi dello spettatore, un espositore "qualificato", materialmente e moralmente; è palpabile, infatti, il coinvolgimento emotivo nella vicenda. Gli eventi si susseguono come in una tragedia classica. Fanno capolino i concetti della colpa e della vendetta, il sentimento, il senso dell'onore, cupidigia e vigliaccheria. L'epilogo è tanto poco credibile quanto altamente simbolico; Agostino, faccia a faccia con il suo avversario, oppresso dal cieco terrore di una sorte tanto infausta quanto meritata, sceglie di farla finita, sottraendosi ad un giudizio umano, che sarebbe stato estremamente severo, sia in tribunale, sia di fronte alla propria gente. Un buon film neorealista, in grado di evocare un contesto sociale non di primo piano in relazione ai grandi eventi storici dell'epoca, comunque "sovrapponibile" a diverse realtà italiane, benchè anch'esso destinato ad un rapido mutamento, in virtù dell'urbanizzazione e dei progressi economico e sociale della nazione. Consigliato, in particolare a chi ha conosciuto ed apprezzato un'altra opera per la quale Giuseppe De Santis condivise la regìa, "Uomini E Lupi", ambientato tra i monti d'Abruzzo.

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