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Mr. Smith va a Washington

Regia di Frank Capra vedi scheda film

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La recensione su Mr. Smith va a Washington

di Fabelman
10 stelle

Storia edificante di un’attualità disarmante. Fotografia eccezionale della politica a tutti i livelli. Questa volta Frank Capra fa centro come poche altre volte ha fatto, evitando il buonismo pur narrando le vicende e imprese di un uomo buono per eccellenza: Jefferson Smith, interpretato da un grande Hugh Gra…ehm, James Stewart.

1939 - Mr. Smith va a Washington / 2025 - Mr. Smith è ancora nella stessa Washington 

Dopo 86 anni suonati la musica non è certo cambiata; se di Mr. Smith (si spera) ne è pieno il mondo, altrettanti saranno i disillusi (e disinnescati) da un sistema politico e una mentalità globale fondata sull’intreccio e la commistione tra concetti come interesse pubblico e tornaconto personale, diritto stabilito dalla legge e storture legalizzate, libertà di stampa e libera (diffamante) disinformazione.

Ideali morali e politici alla mercé o di idealisti disincantati o di spudorati e cinici opportunisti, che fanno della concretezza una maschera con cui nascondere la deviazione morale di cui sono vittime e colpevoli, perché l’intenzione spesso suscita dalla sudditanza verso chi il potere (legale o meno) lo tiene in pugno tenendone in pugno gli inermi protagonisti.

Nel titolo di Frank Capra, tratto da un soggetto originale di Lewis R. Forster (già regista e sceneggiatore, con questo lavoro premiato all’Oscar) e con la sceneggiatura firmata da Sidney Buchman, vi è tutto ciò, con un dinamismo e delle dinamiche che portano lo spettatore nell’attualità del suo presente, pur assistendo ad una “proiezione” di una pellicola concepita circa 9 decenni or sono e in un affascinante bianco e nero catturato dal collaboratore fidato del regista Joseph Walker, un astro della fotografia.

Bravissimo tutto il cast: da Jean Arthur nei panni della dapprima spietata e poi “burrosa” segretaria Clarissa Saunders, a Claude Reins in uno dei ruoli cruciali del film, ben caratterizzato, nelle parole e nelle movenze, nell’essere istituzionale sia quando tutela quelle istituzioni che quando le tradisce, nel manipolare sè stesso e la legge, i fatti e gli inermi incolpevoli, tutto questo è il senatore Joseph Paine; e poi Edward Arnold nelle vesti del gangster di alto profilo Jim Taylor, davvero credibile nell’impersonare l’elemento estraneo e infettivo di ogni politica di qualsivoglia governo.

Il mondo era, ed è, fatto così. . .e doveva ancora scoppiare la II W.W!

Tutti i personaggi principali e i vari caratteristi gravitano intorno alla figura baricentrica di tutta l’opera, incluse le tematiche e le vicende: tale Jefferson Smith, una sorta di capo Boy-scout, scaraventato nella vita politica per la sua non del tutto apparente ingenuità ma dalla sicura genuinità, dallo sguardo radioso propenso al futuro che porta alle spalle un passato non privo di nubi cariche di pioggia e lacrime. 

Un’idealismo del protagonismo che sembra andare a braccetto con quello del suo narratore e regista, soprattutto nelle sequenze ai piedi della statua di Lincoln e Washington tutta, nell’idealizzare appunto la nazione statunitense come fondata su una sacrosanta giustizia e da padri-fondatori icone di una “laica santità”.

Il grande merito di Capra è quello di affiancare al suo irrimediabile buonismo un senso di profondo realismo e (un altro grande merito) senza cadere nella trappola di calcare la mano nel sentenziare evitando così di far diventare (e banalizzare) il suo (più grande) film la nemesi di tutto il male di cui è pervasa la politica e le sue istituzioni.

Perché “Mr. Smith va a Washington” è considerato il miglior film di Frank Capra, un sognatore e un grande narratore di fiabe. 

E quel James Stewart vestito di quei panni lì è semplicemente sontuoso; caratterizza il suo personaggio di sfaccettature complesse, il linguaggio del corpo parla più del suo discorso al Senato di oltre 24h; in una sequenza il regista si sofferma sul movimento impacciato delle mani, quasi come se durante la ripresa Frank Capra fosse stato catturato da quei movimenti goffi ma così naturali e li abbia voluti omaggiare, omaggiandone di riflesso il suo interprete.

Straordinario. . .come straordinaria (da far restare increduli) è la somiglianza estetica, caratteriale, di portamento e movenze che Stewart ha con il primo Hugh Grant (durante la visione non si può non andare con la memoria all’interpretazione dell’attore britannico ne “L'inglese che salì la collina e scese da una montagna”); le somiglianze sono clamorose, tanto da indurre a pensare che il giovane Hugh abbia studiato e fatta sua l’interpretazione di James Stewart in “Mr. Smith va a Washington” al punto da appropriarsene, interiorizzarla ed esteriorizzarla nella recitazione di questo e successivi titoli (si pensi a “Notting Hill”).

Un piccolo appunto su un personaggio secondario ma di rilievo: il Presidente del Senato interpretato da Harry Carey (candidato all’Oscar per le sue seppur brevi apparizioni nella pellicola) può essere equivocato, tacciato di superficialità nel modo in cui è caratterizzato, perché può lasciare interdetti l’apparente frivolezza con cui conduce le sedute di un’istituzione così di rilievo in una nazione come gli U.S.A.

Ad una visione più attenta il personaggio di Carey, oltre ad offrire un tono allegro e leggero, disegna la figura di un maturo e leale uomo di stato che conosce intimamente le dinamiche politiche del suo paese e i componenti del senato che presiede, e al tempo stesso presta il suo servizio con una professionalità ed una istituzionalità impeccabile; non lotta, non accusa, accetta che l’amministrazione di uno stato di diritto debba essere guidato da uomini dai forti ideali ma non dall’intransigente idealismo, e la sua forza sta nel lasciare che il processo istituzionale faccia il suo corso. Quei sorrisi e la sua accondiscendenza verso l’ormai senatore Smith mostrano che il veterano presidente aveva da tempo “mangiato la foglia” sul senatore Paine e, seppur sorridendo del fervore manifestato dall’inesperto ex capo Boy-scout, era ben felice che qualcuno smascherasse questo politico corrotto. Ma dall’alto della sua esperienza, con quei simpatici quanto benevoli sorrisi, lascia intendere che quello sventato da Smith non era né il primo né sarebbe stato tantomeno l’ultimo caso di corruzione nella politica americana.

L’happy-ending essendo un film di Capra (e di una certa epoca) è pienamente dovuto, anche se per ottenerlo il protagonista è dovuto letteralmente stramazzare a terra.

 

P.S. Il senatore Cory Booker tra il 31 marzo e il 1 aprile 2025 ha ottenuto il record del discorso più lungo nella storia del Senato degli Stati Uniti d’America. Ha iniziato a parlare alle 19:00 e ha concluso alle 20:05 del giorno successivo. Il discorso è durato 25 ore e 5 minuti. 

Ecco cosa accade a vedere troppi film! ;)

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