Regia di Bertrand Bonello vedi scheda film
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2011, questo film è difficile da giudicare, perché è uno spaccato realistico e ben interpretato della tradizione liberale francese dei primi del Novecento, ma anche un dramma sconclusionato, che non sembra avere né capo né coda.
La messa in scena non si sposta dalle mura interne di un bordello mandato avanti da Madame Marie-France, una donna d’affari un tantino manipolatrice, ma tutto sommato indulgente con le ragazze che gestisce.
L’atmosfera è cupa e suggestiva, con un approccio approssimativamente decadentista che riesce a catapultare lo spettatore ai tempi della Belle Époque in Francia, grazie a dei costumi perfettamente appariscenti (per i quali il film vinse il premio César) e a delle scenografie di effetto.
Non c’è una trama ben definita o ben articolata, ma un susseguirsi di vicende varie che hanno tutte un unico denominatore comune: la prostituzione. Il gruppo di ragazze è ben assortito, sono per la maggior parte semplici, umili e molto affiatate e unite tra loro, come fossero parte di una grande famiglia. Vivono insieme con rassegnazione e abitudine nella Casa di Tolleranza, provando in taluni casi anche affetto per i loro clienti.
Il personaggio più interessante si rivela indubbiamente Madeleine, che si autoproclama “il mostro” perché ha il volto sfigurato (da un ex cliente sadico di cui si era voluta fidare) intorno alle labbra, che la fa sembrare una sorta di pagliaccio triste (poveretta, sembra la versione femminile di “The Crow”). La sua sfortuna appare come il tema centrale che riassume il film: le ragazze non sono che oggetti alla mercé degli uomini che le scelgono, belli o brutti, giovani o vecchi, sadici e rispettosi. Vivono facendo l’amore per inerzia, il loro unico senso di esistenza è quello di soddisfare gli uomini a proprio rischio e pericolo di contrarre malattie anche fatali e di essere perfino ferite o uccise.
Vengono toccati temi scottanti dunque, ma al contempo delicati e tragici. Ne vien fuori un ritratto amaro di quello che è sempre stato il mondo della prostituzione. Le ragazze, ai tempi delle case di tolleranza, credevano di trovare sicurezza economica, rifugio e libertà, ma era tutto il contrario; diventavano schiave di un sistema disonorevole e dal quale diventava quasi impossibile uscire.
Brave e belle tutte le attrici selezionate, regia ambiziosa, dialoghi incisivi e ottima ricostruzione storica.
La telecamera indugia di tanto in tanto su diversi nudi a volte anche integrali, ma il cinema francese, dopotutto, è sempre stato poco pudico all’interno di film-drama come questo. Meno intuitiva è la narrazione che a volte si fa spezzata, misteriosa e a tratti perfino onirica grazie a delle sequenze di cui non se ne capisce immediatamente il senso.
Un'opera in definitiva malinconica, intensa e struggente, ma anche corrosiva, piatta e statica, che illustra il punto di vista di quelle donne incapaci di realizzarsi che optano per la via più “facile”, ma che in realtà, facile non è affatto né lo è mai stato.
C’è molta introspezione nella storia, che lascia con tante riflessioni ma anche con un senso di vuoto, implodendo nelle sue stesse ambientazioni asfissianti, dove le graziose protagoniste sono solo pedine di giochi perversi che le intrappolano eternamente in un tenore di vita squallido, attraverso cui finiscono con il fingere di gioire dietro una maschera o con il soccombere a causa di contagi involuti.
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