Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film
Un piccolo grande film, un altro gioiellino di un regista tanto umile quanto acuto e sensibile, sostenuto da un cast in stato di grazia. Si ride e ci si commuove.
Gianni Dubois, professione regista. O almeno dovrebbe, visto che non dirige un bel nulla da cinque anni. Un bel debutto, qualche film che ti vale il plauso della critica, ma mai il successo commerciale che ti lancia fra i grandi. Ma che importa, tanto sei bravo, ormai sei entrato nel giro, prima o poi… finchè qualcuno ti fa notare che da quel giro sei già uscito, perchè non hai lottato per rimanerci. E’ il percorso di tanti bravi artisti (ma non succede solo a loro), che si siedono sui primi successi, non hanno quella volontà feroce di emergere che distingue le persone di successo. Però, qualche volta il destino ti dà l’occasione di riaccendere la passione spenta… (e sottolineo passione). Il cuore del penultimo film di Carlo Mazzacurati sta qui, in una riflessione seria sul mestiere dell’artista, almeno per chi voglia guardare dietro il velo della commedia. Perchè è davvero una storia divertente, grazie soprattutto ad un cast in stato di grazia. Si può obiettare che Silvio Orlando è ormai abbonato al ruolo del simpatico perdente, e forse ciò rende il suo personaggio un po’ scontato, ma sicuramente è sul suo terreno. Mi ha comunque colpito il modo in cui il regista fa rendere al massimo tutti gli altri attori: per dire, una Sandrelli e un Messeri che da tempo trascinano un po’ stancamente le loro carriere, sono spassosi nel ruolo dei politicanti di paese, con sfumature diverse. Corrado Guzzanti si muove sempre nei limiti del suo personaggio sopra le righe, ma cesella un memorabile attore trombone (adorato dalle folle, peraltro), riuscendo anche a suggerire la fragilità che si nasconde dietro le sue arie da fine dicitore. E poi c’è naturalmente il bravissimo Battiston, anche lui capace di tenersi in equilibrio tra farsa e dramma. Ma ripeto, non c’è un solo interprete meno che convincente.
E poi, tutto si potrà dire, tranne che sia un soggetto trito: Mazzacurati si è del resto ispirato ad un episodio realmente capitatogli, una Passione pasquale che dovette dirigere suo malgrado (in un contesto meno grottesco, spero per lui). Come altre volte nel suo cinema, si ride di giorno, ci si emoziona di notte. I notturni, il vero marchio di fabbrica del suo cinema. L’intimità dei vicini spiata da Dubois, lo spettacolo surreale dell’attore itinerante, e naturalmente la sacra rappresentazione finale. Non conosco nessun altro autore italiano che sappia esplorare la notte come Mazzacurati; è un peccato che non si sia mai cimentato con i grandi classici della notte, come Leopardi o Stendhal, credo che ne sarebbe uscito qualcosa di memorabile. Sono convinto che anche fra cent’anni saranno in molti ad amare i piccoli, grandi film di questo autore umile e sensibile, che ci ha lasciato prematuramente, ma ha fatto in tempo a lasciare un segno importante nella storia del nostro cinema.
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