Regia di Andrea Arnold vedi scheda film
Adolescente inquieta e ribelle, Mia vive in un quartiere popolare dell'Essex insieme alla madre, superficiale e irresponsabile, ed alla sorellina più piccola. Espulsa da scuola ed interessata solo alla danza hip-hop, trascorre le sue gionate fuori casa tra un allenamento e le passeggiate lungo gli squallidi sobborghi di una periferia desolata e degradata. Quando il nuovo aitante e premuroso amico della madre inizia ad interessarsi a lei ed alla sua passione per la musica, le sembra di aver finalmente trovato una figura di riferimento maschile cui avvicinarsi con interesse e fiducia. Ma questa sarà per lei l'ennesima e cocente delusione.
Fish Tank (2009): locandina
Interessata tanto ad un paesaggio urbano che dimostra di conoscere a menadito, quanto al realismo sociale di una messa in scena che sembra tallonare da presso la giovane protagonista femminile (camera mobilissima, frequente uso della soggettiva, prevalenza di campi medi e stretti), la regista inglese Andrea Arnold sembra avere bene assimilato i capisaldi di un cinema europeo che strizza l'occhio al morboso interesse che il pubblico festivaliero riserva alle storie esemplari di emarginazione e (falso) riscatto e che trova nei fratelli Dardenne o nel cinema di Loach (quest'ultimo certo, in senso più politico) i suoi ideali punti di riferimento.
Coraggiosa nel rischiare un casting dove tra i più noti ed emergenti protagonisti del cinema britannico (Fassbender e Wareing) si affida il ruolo di protagonista ad una ragazzina debuttante reclutata per caso in stazione mentre litiga col fidanzatino (Katie Jarvis), la Arnold dimostra e mostra più interesse per la credibilità del contesto sociale e l'attendibilità psicologica dei personaggi che per il valore pure esemplare che la storia sembra affidare ai simbolismi che affiorano qui e là come segni premonitori di un racconto di formazione fondato sullo sradicamento familiare e l'inevitabile tentativo di fuga in avanti (la cavalla da liberare, la musica come paradigma di un improbabile riscatto personale, la difficile iniziazione sessuale, i campi lunghi che traguardano l'orizzonte lontano di un mondo chiuso come una 'gabbia per pesci', il predibile epilogo di un abbandono del focolare domestico).
Fish Tank (2009): Katie Jarvis
Chiuso in questo 'linguaggio da strada' che asseconda il rigore di una messa in scena minimale e l'uso pure spartano e marginale della colonna sonora intradiegetica (una insolita versione rhythm & blues della California Dreamin' dei Mamas and Papas), il film della Arnold rischia l'appiattimento su di un ritmo eccessivamente dilatato (123 minuti possono stancare) e la criteriata scelta di picchi drammatici che deviano dalle consuete logiche narrative all'insegna della prevedibilità melodrammatica (dalla perdita della verginità sul divano di casa ad un ratto dell'infante andato a buon fine). A conti fatti il film sembra trovare la quadra tra credibilità del registro e velleità autoriali, convincendo tanto i membri del 62º Festival di Cannes che gli attribuiscono il Premio della Giuria quanto quelli dell'Accademia Britannica che gli consegnano il BAFTA come miglior film. Così è (se vi pare)
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