Regia di Michael Mann vedi scheda film
Epic Mickey
Micheal Mann è quanto di più vicino abbiamo oggi ad un creatore di epica: genere letterario e culturale forse consumato e disintegrato nel post-moderno, ma che rimane una necessità dell'umano (forse).
Tutto nel suo cinema concorre a creare una mitologia, una narrazione oltre il temporale che possa divenire icastica e senza tempo. In questo film l'elemento chiave non è il realismo (che in realtà essendo iper-realismo diviene una cosa completamente staccata dal reale), nè la storia (che non c'entra nulla con il mito senza tempo, essendo dipendente dal tempo), ma è l'evidente e cosciente ricerca di eternità di Dillinger - il cinema onnipresente nel film ne è la chiave, come luogo supremo di costruzione dei miti contemporanei. Dillinger si sente ormai Clark Gable, abbandona il tempo e si sposta nella dimensione eterna, là dove è adesso e da dove ancora lo ricordiamo (come questo film fa in uno splendido gioco meta-cinematografico).
La sequenza migliore del film dove un Dilllinger ormai ultra-dimensionale visita la "Dillinger Room" e osserva le icone che celebrano lui e i suoi sodali (che sono tutti "morti" a differenza sua), le sue gesta, le sue notizie con la soddisfazione di chi osserva il proprio monumento.
La fotografia splendida di Spinotti costruita sul contrasto e su luci taglienti che costruiscono le immagini fa il resto - aggiungiamo l'uso delle palette dei colori che virano sullo scuro o sul seppia, sull'ocra dei raggi solari o sul blu freddo di una notte nel bosco ed abbiamo il solito grande poema epico di Mann.
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