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Presagio finale

Regia di Mark Fergus vedi scheda film

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La recensione su Presagio finale

di barabbovich
6 stelle

Per ammazzare il tempo in attesa che gli venga riparata la macchina, Jimmy (Pearce) si reca da un indovino (Simmons) che dapprima predice la vittoria improbabile di una squadra di basket, poi l'arrivo di una (insperata) pioggia di soldi e, infine, qualcosa di indicibile. Jimmy prosegue la sua vita nell'ossessione di quel qualcosa destinato a trasformarsi nella più classica delle profezie che si autoavverano.
Quando di mezzo c'è Guy Pearce, c'è da scommetterci, non si scade mai sull'ovvio. Accade anche con questo film del misconosciuto esordiente Mark Fergus che, senza mai attingere al paranormale, imbastisce un thriller psicologico che funziona benissimo finché rimane sospeso tra il brusco cambio di vita del protagonista e gli scenari che gli si spalancano dinanzi a causa delle sue ossessioni, per poi perdersi in parte nella ricerca del colpo di scena finale, frettoloso e ad effetto. È proprio quando cerca la quadratura del cerchio, magari all'ombra di una nevicata simbolica, che il film inciampa un po' nei suoi stessi presupposti. Fergus tenta la via di un noir esistenziale asciutto e quasi zen, fatto di silenzi, sospensioni, minacce indistinte e predizioni che suonano come anatemi, ma il tono resta a metà strada: né abbastanza oscuro da inquietare, né abbastanza profondo da far riflettere. Pearce, con lo sguardo torvo e la chioma unta da venditore porta a porta in crisi karmica, regge da solo l'impalcatura narrativa. Ma la sua parabola da imbroglione nevrotico a profeta del nulla è più interessante sulla carta che sullo schermo. Il contorno - suoni ovattati, strade deserte, Arizona polveroso e colonna sonora ipnotica - lavora bene sul piano atmosferico, ma non basta a compensare la rarefazione drammatica degli ultimi 30 minuti. Un film che si prende sul serio, ma forse un po' troppo. Buone premesse, ottima tensione latente, peccato che, alla fine, della neve rimanga solo l'umidità.

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