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King of New York

Regia di Abel Ferrara vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su King of New York

di hallorann
9 stelle

Nella filmografia di Abel Ferrara “King of New York” assume i contorni di un’opera curiosa. La coppia Ferrara – St. John ebbe una ghiotta occasione di tornare alle origini del loro status di indipendenti. In questa pellicola, prodotta dall’italiano Augusto Caminito e da Rete Italia di Silvio Berlusconi, ebbero carta bianca per liberare creatività e inventiva nel realizzare un gangster-movie sui generis. New York è lo scenario consueto, noto e rassicurante per la coppia. Frank White è un cristo uscito di prigione con una missione: eliminare i mercanti del tempio ed ergersi ad unico re della città. Il campo (di battaglia) è il controllo del narcotraffico: dominare il male con il male. L’obiettivo sociale è riattivare un indispensabile nosocomio nel popoloso quartiere di Harlem. Fare del bene per essere ricordato. Chi sono i suoi nemici? Non i rivali boss e/o i trafficanti, bensì una squadra anticrimine mossa da una violenta sete di giustizia e moralità.

 

Sia regista che scrittore hanno una venerazione per questo ex carcerato: descritto e ripreso con adorazione, accompagnato nella prima fase post rilascio da musiche solenni di Joe Delia insieme al barocco Vivaldi. Ha una maschera pallida, da Nosferatu, occhi di ghiaccio, sorriso quasi puerile e spontaneo (che perderà con lo scorrere del tempo e del sangue), capello fonato, movimenti eleganti e danzanti all’occasione, usa la pistola come i sacerdoti l’aspersorio. Lo usa per risolvere le controversie, soprattutto quando la mediazione o la diplomazia non bastano o non servono più.

 

White è un solitario discriminato, preferisce trattare con qualsiasi razza ed etnia. Ed è per questo poco tollerato e rispettato dai rivali. Ha come angeli custodi due donne e un’avvocatessa amante, ama circondarsi dall’amore promiscuo, il vizio e la protezione di fedelissimi raccolti come una piccola comunità. Nella sfida finale con il trio di sbirri Bishop-Gilliey-Flanagan lui resterà in piedi, morirà dentro un taxi al termine di una camminata da “dead man walking”, lanciando un ultimo sguardo alla statuina di un angelo che troneggia nell’auto e al vuoto. L’altro elemento religioso è una statua della Madonna con su scritto il sibillino “il tramonto” sulla vetrina d’ingresso del boss italo-americano.

 

Il racconto di St. John prende spunto dalla drammaturgia shakespiriana e da O’Neill. Mentre farina del suo sacco è ammantare le gesta di White quale tentativo folle e disperato di redenzione. Il fatto che egli nel confronto con Bishop si definisca un uomo d’affari e che dunque compia delle azioni criminose può essere letto in chiave politica americana: il binomio democrazia-criminalità che deriva dai drammi della metà del novecento come appunto quelli di O’Neill o dalle gesta di Al Capone per esempio. La lettura più semplice di “King of New York” è di un noir feroce e ambiguo con un cast straordinario (che dire dell’interpretazione unica e iconica di Christopher Walken), in cui si descrive una Sodoma e Gomorra di fine millennio senza nessuna speranza.

 

Christopher Walken

King of New York (1989): Christopher Walken

 

Christopher Walken, Janet Julian

King of New York (1989): Christopher Walken, Janet Julian

 

Laurence Fishburne

King of New York (1989): Laurence Fishburne

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