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Exiled

Regia di Johnnie To vedi scheda film

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La recensione su Exiled

di Antisistema
8 stelle

Essenziale elegia di un'amicizia tutta votata al maschile, tra serial killer cresciuti nella stessa gang, in cui hanno eseguito omicidi e commesso atti criminali per anni. Wo (Nick Cheung), ha deciso di appendere la pistola chiodo e godersi il figlio neonato e la vita con la moglie Jin (Josie Ho). Il passato criminale torna a bussare alla porta, in quanto il vendicativo boss Fay (Simon Yam), ha deciso di eliminarlo inviando sicari di comprovata esperienza; Blaze (Anthony Wong), Fat (Lam Suet), Tai (Francis Ng) e Cat (Roy Cheung). La committenza soccombe in nome dei vecchi legami d'infazia, anche se questo significa tradire Fay e subirne l'ira. 
"Exiled" di Johnnie To (2006), ambienta nella Macao del 1998, il passaggio tra il vecchio ordine coloniale portoghese e i tempi nuovi della sovranità da parte della Cina. Si lavora sugli archetipi del cinema action; l'esiliato che ritorna nei luoghi di un tempo, codici d'onore, vecchi legami e scontro tra differenti visioni della criminalità. Ne esce un'opera scarna nelle dinamiche narrative, quanto incentrata sul mettere in scena dinamiche basate sul fare e non sul dire. Johnnie To non innova , nè cerca strade differenti rispetto alle proprie pregresse, anzi guardà costantemente a quel "The Mission" (1999) di cui si pone come variazione tematica.
Si lavora di macchina da presa, con movimenti accorti e passo sostenuto, senza mai pigiare il piede sull'acceleratore. "Exiled" stilizza le scenografie, in un palcoscenico di neri profondi, tende, porte e tavoli ribaltati, all'insegna di ciò che poteva era e più non è. L'azione diventa un teatro, capace di racchiudere morali sottaciute, celate dietro maschere superficialmente risapute. 

Nonostante ciò i protagonisti costantemente si domandano dove andare. Smarrimento innanzi alle continue fughe a cui i cinque vengono costretti, ma anche l'avanzare dei tempi nuovi, portatori di nuove logiche spietate e annichilenti.

 

"Exiled" segna un avvicinamento progressivo di Johnnie To verso dinamiche oltreconfine. La combinazione tra ironia e spietatezza nella violenza e nel look dei killer rimanda chiaramente alle pellicole di Quentin Tarantino degli anni 90', così come tutta la lunga sequenza iniziale giocata su attese spasmodiche nell'attesa dell'atto, omaggia appieno i western di Sergio Leone, con toni elegiaci e stilistici alla Sam Peckinpah nel ritrarre un'amicizia incurante di qualsiasi ostacolo e pronta a giungere alle estreme conseguenze. Le sparatorie e colpi di pistola sono l'unico messo con cui i personaggi riescono a comunicare tra loro. Johnnie To riesce a fare a fondo a tutto il suo campionario tecnico, tra rallenty dosati perfettamente e movimenti di macchina, capaci di fare a meno del montaggio serrato, in una costruzione di una storia ora tragica, talora divertente e infine dolente. 
Il passato non ritorna. Il futuro appare nefasto. L'unico codice rimanete è la fedeltà a ciò che si è sempre stati. In questo la fotografia, cristallizza in un'immagine fissa, l'aderenza a dei principi e legami che si vorrebbero immutabili. 

Un meccanismo post-moderno, che segna una svolta verso canoni internazionali di matrice occidentale nel cinema di Johnnie To. Forse si lascia prendere troppo la mano da citazionismo e dal calco dei modelli di riferimento non padroneggiati con la stessa forza. Ma a smentire una totale sottomissione al cinema Hollywoodiano, resta il trattato estetico di un'azione sempre inventiva, che non lascia dubbi sulla complessiva autoritalità di un regista, in grado di ragionare sul concetto di dinamismo e movimento in modo personale. 

 

 

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