Regia di William Wyler vedi scheda film
In anticipo su L’uomo che uccise Liberty Valance Wyler pone al centro della vicenda una figura estranea al tipico mondo del West, il comandante McKay, uomo di marina, viene infatti subito a contato con gli aspetti più feroci del mondo della frontiera, fatto di sbruffonate, prepotenze e soprusi, tutti regolati a colpi di colt o a suon di pugni. Proprio come il Ransom Stoddard interpretato da James Stewart, egli tenta un altro approccio di fronte alla violenza ed alle faide familiari, ponendo il proprio coraggio e la propria rettidudine come faro di fronte all’inciviltà del west. A parte questa caratteristica nel protagonista, inutile cercare altre somiglianze tra le due pellicole: Wyler, contrariamente a quanto farà Ford (che girerà quasi interamente L’uomo che uccise Liberty Valance tra un ristorante e una cucina) qui esalta al massimo gli spazi che danno il titolo al film, ancor più affascinanti grazie ad una fotografia a colori di grande intensità e ad un utilizzo del Cinemascope che probabilmente al cinema sarebbe mozzafiato. Caratteristiche tecniche a parte Wyler si cimenta in uno scontro tra due pontentissime famiglie della zona, i Terrill e gli Hannassey. La curiosità della vicenda inoltre risiede nel non schierare buoni e cattivi, sebbene l’iniziale inserimento del protagonista nella famiglia Terrill faccia supporre che siano costoro la parte per cui “tifare”, al contrario il regista fa emergere tutte le contraddizioni presenti da entrambe le parti, le quali non si sottraggono a brutalità reciproche adoperandosi per l’esclusiva sopraffazione dell’altra parte. La figura di McKay, elegantemente intepretato da Gregory Peck riesce infatti a porre l’intero contesto di fronte a questa incoerenza: pur pagandone in termini reputazionali e persino relazionali, McKay si approccia in modo fermo sull’esigenza di non poter basare le relazioni sui muscoli e sulle pistole, ma al contrario sul dialogo e sulla ragione. Come detto questo provoca un’enorme ilarità e disprezzo da parte delle figure locali: viene visto come un vigliacco quando non accetta di battersi con l’irruento fattore dei Terrill, Steve Leech, o quando sembra non esser in grado di orientarsi tra gli sconfinati pascoli del territorio o di andare a cavallo. Anche in questo caso Wyler traccia una narrazione della frontiera che si scosta significativamente da quanto avevano fatto altri registi, Ford in primis, che vedevano in questo contesto rurale anche la nascita quasi naturale della cività. Per Wyler la frontiera invece diviene un luogo in cui è indispensabile imporre ed educare alla civiltà al fine di concludere delle schermaglie sanguinose. Il mondo ottuso e quasi animalesco della frontiera è inoltre ben descritto attraverso i personaggi femminili: la figlia del Maggiore Terrill, Patricia, nonchè fidanzata di McKay, arriva praticamente a rinnegare quest’ultimo quando non ha dato esibizione del suo coraggio sfidando davanti a tutti Leech e quindi passando per vigliacco. Tutte queste caratteristiche ed un’impostazione da kolossal riescono dunque a racchiudere una vicenda molto appassionante e ben orchestrata, nonostante qualche lungaggine di troppo. Ottime tutte le interpretazioni, tra cui spicca Burl Ives in un ruolo gigionesco e quasi mostruoso. Charlton Heston, in un ruolo di secondo piano e dai tratti insidiosi sembra abbia accettato la parte con molto scettiscismo (la sua carriera stava avendo un’esplosione di successo in quei tempi, recentemente era stato consacrato con I dieci comandamenti e L’infernale Quinlan) ma sembra abbia barattato questo ruolo per avere poi un ruolo da protagonista nel successivo film di Wyler: il mitico Ben Hur.
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