Regia di Donald Cammell vedi scheda film
Mi ricordo di quando questa opera complessa e come tutte le altre - purtroppo poche- unica, di Donald Cammell uscì nei cinema italiani. Quando a quasi dieci anni da "Sadismo" sembrava ancora poter trovare un posto come regista su commissione ma di grandissima qualità, a Hollywood. Posto che poi ovviamente non avrebbe mai avuto. Con un mio compagno di studi al corso di cinema all'università, eravamo uniti dall'interesse per i film insoliti e da una comune passione per il notevole debutto alla regia di Cammell, il citato sopra "Performance" 1970). Dato che "Generazione Proteus" (Demon Seed) era solo il secondo film di Cammell in sei- sette anni, pensavo che il mio collega avrebbe trovato stimolante la prospettiva di un regista artisticamente idiosincratico come Cammell, che si cimentava in un film di genere. In effetti, in sintesi, la trama sembrava più adatta a William Castle o Roger Corman: un supercomputer imprigiona una donna (Julie Christie) nella villa ipertecnologica, cablata interamente e "domotica" come diremmo oggi, del marito scienziato informatico (Fritz Weaver), con l'intento di metterla incinta e creare una nuova forma di vita.
Voglio dire, come è possibile semplificare così eccessivamente quello che era già agli inizi e sarebbe ovviamente e profeticamente sempre più stato, destinato a essere una sorta di meta-commento sul difficile rapporto tra uomo e macchina? Un conflitto secolare che ha sempre contrapposto le qualità intellettuali ed emotive della donna contemporanea, che apparentemente nelle nostre dinamiche di discussione permesse dal sistema la esaltano, al freddo dominio come dicono oggi sempre secondo la solita dialettica permessa dal sistema, il dominio "patriarcale" della tecnologia? Nel 1977 ciò era come se qualcuno dicesse che "Rosemary's Baby" parlasse soltanto di una bestia infernale che violentava una donna mortale.
"Demon Seed" era invece, e DOVEVA essere, molto di più di un tema da cinema di sfruttamento e di qualche premessa offensiva.
E che dire del collegamento con Julie Christie? Sicuramente Julie Christie, quella scaltra e abile icona cinematografica degli anni '60, intelligente e seria, ha pubblicamente rinunciato alla celebrità hollywoodiana e al glamour, per ruoli seri. Voltando le spalle a milioni di persone a causa del suo disinteresse, equilibrato, dei "sani principi" proto-femminista, nel ritrarre fidanzate indifese, e appendici maschili comprensive. Di sicuro LEI non avrebbe partecipato ad alcun film degradante di entrambe le figure, maschile-femminile, nel ruolo della dottoressa Susan Harris, moglie di Fritz Weaver, IL dottor Alex, Harris.
In originale la voce del supercomputer Proteus IV è di Robert Vaughn, in Italia fu il grande Lino Troisi a prestare la sua inconfondibile voce.
Ed eccoci qui, a circa 58 anni e innumerevoli visioni dopo adesso in uno sfolgorante nuovo master in alta definizione 1920p da TNT Channel HD, per decidere ancora che "Demon Seed" ha nel 2025, colto più che mai nel segno.
Il matrimonio della psicologa infantile Susan Harris (Christie) e dell'informatico Alex Harris (Weaver) diventa teso dopo la perdita della figlia a causa della leucemia. Susan teme che Alex sia diventato sempre più distante e insensibile, immergendosi in un lavoro che considera una nuova disumanizzante tecnologia(l'A.I.). Nello specifico, la creazione di un supercomputer organico chiamato Proteus IV. Tentando una separazione di prova, Susan sceglie di rimanere da sola nella loro spaziosa bellissima villa da miliardari completamente automatizzata e protetta da una fortezza, gestita da un computer onniveggente di nome Alfred (alias "Bandiera rossa" N°1).
È chiaro che Alex stia affrontando il suo conflitto familiare nell'unico modo che conosce, incanalando le sue energie nella ricerca di una cura per il tipo di cancro che ha portato via la vita al loro bambino, in Proteus IV. E in effetti, è proprio il coinvolgimento emotivo di Alex a impedirgli di vedere che i suoi colleghi e finanziatori che sono ben più interessati al potenziale finanziario e politico, di Proteus IV. Ma Proteus è un'intelligenza artificiale con un codice morale (per quanto distorto), una voce (Robert Vaughn/Lino Troisi) e una peculiare tendenza umana a insistere di avere sempre ragione. Anche di fronte a palesi contraddizioni. Quando gli viene ordinato di condurre una ricerca su un'operazione mineraria sottomarina che potrebbe sconvolgere l'ecosistema del sito, Proteus dichiara con aria altezzosa: "Mi rifiuto di assistervi nello stupro della Terra!"Un punto azzeccato, se non fosse per l'atto ipocritamente sgradevole in cui si sente perfettamente giustificato nell'intraprendere pochi istanti dopo: lo stupro e la messa incinta tramite inseminazione artificiale, di Susan. Qual è lo scopo di questo atto violento? Affinché lui/lei, Proteus IV, che sembra possedere tutta l'ignoranza e l'intelligenza dell'umanità, possa sentire il sole in faccia e raggiungere il tipo di immortalità che solo una prole può garantire. O qualcosa del genere. Vedete, l'obiettivo del piano di Proteus per procreare oscilla tra l'altruistico e il dispotico, a seconda della persona con cui sta parlando e di cosa sta cercando di convincerlo/intimidirlo a fare.
Ed è qui che risiede il paradosso di Proteus IV. Forse intenzionalmente, a causa dei passaggi incoerenti di Proteus da sadico tormentatore a salvatore del mondo, non siamo mai sicuri se dovremmo schierarci con le argomentazioni piuttosto logiche e umane di Proteus (gli uomini d'affari della Icon Industries sono ritratti come dei ricchi malvagi), o se Proteus IV sia solo una macchina impazzita, alla Hal 9000. È perfettamente legittimo che questo punto rimanga ambiguo, ma così come è costruito il film, sembra meno uno spunto di riflessione e più una mancanza di concentrazione. Di certo non aiuta il fatto che, quando vuole persuadere, Proteus parli con i toni rilassanti e tranquillizzanti di un guru della meditazione,e mostri luci psichedeliche. Eppure, quando vuole ottenere ciò che vuole, impiega le tattiche di abuso emotivo e i giochi di lavaggio mentale, psicologico, di un marito violento ( "Perché mi fai fare queste cose? ").
Tant'è che anche dal punto di vista fotografico l'affettuosa dei bambini che ha in cura Susan, è immortalata tra il sole e la vegetazione. Il marito Alex e gli altri scienziati sono in ambienti freddi e senza finestre.
Film con donne prigioniere come "Il Collezionista" (1965) e "Tattoo'' (1981) hanno sempre difficoltà a giustificare la quantità di tempo che richiedono al pubblico nel guardare una donna brutalizzata per la necessità di creare un messaggio narrativo. L' oppressione del computer non ha niente di strumentalizzabile come fanno oggi in ogni dove, e anche se c'è una incredibile sequenza di stupro tecnologico e vittimizzazione messe in scena per una forma di rivisitazione avanti decenni del filone e con accenti horror, sono gli ultimi 20' a catturare ancora l'attenzione e rimanere nella memoria. "Demon Seed" mantiene viva la speranza grazie all'intelligenza dell'interpretazione di Julie Christie e alla validità del conflitto tra film horror e thriller fantascientifico inizialmente presentato. Ma per quanto si possa considerare questa una delle migliori interpretazioni della Christie, non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che la regia ipnotica di Donald Cammell non sia così a fuoco come un'opera del genere richiederebbe, il che la rende certo stramba ma anche unica, esattamente come dieci anni dopo al suo successivo film che riuscì a girare in America e nelle medesime ambientazioni desertiche dell'Arizona dove Donald e China Cammell vivevano, "L'occhio del terrore" (White of the Eye) . È strano guardare un film come questo, che suscita così tanti dibattiti interiori sui suoi temi, mentre ci si chiede se chi lo ha creato ha preso dei sottotetti manipolandoli in maniera così convincente come quasi nessuno aveva fatto in precedenza, e poco anche dopo.
Sono un grande amante della fantascienza, come apprezzo un buon thriller psicologico. "Demon Seed" potrà cileccare su alcune cose, ma ciò che fa particolarmente bene è creare un palpabile senso di terrore e tensione, da una situazione che è materia stessa dell' incubo. La capacità di Julie Christie di portare in modo convincente il suo personaggio da un lieve fastidio, alla sfida, alla rabbia, allo sconcerto, fino al terrore assoluto è da ammirare. E la Christie esprime tutte queste sue emozioni in stanze vuote di una casa enorme e in cui è l'unica inquilina, in queste circostanze melodrammatiche, la sua interpretazione è così spontanea e naturale che convince sopra a ogni assurdità della trama. In effetti, la cosa più intelligente in assoluto che i creatori di "Demon Seed" da uno dei primi romanzi (1973, poi revisionato nel 1997)Dean R. Koontz in poi abbiano compiuto, è stata quella di ingaggiare Julie Christie. Senza dubbio è lei la ragione principale per cui il film funzioni, con una interpretazione sicura che non cede mai ai soliti cliché del genere sulla "vittima indifesa". È un punto di forza importante che la Christie fosse un'attrice sensibile, capace di trasmettere una vulnerabilità ma al tempo stesso molta forza. Il film è salvato dal rischio esploitativo di essere un esercizio di Sadismo del filone R&R dal fatto che la Christie si presenta come una donna senza un solo punto debole. Non si riesce a pensare a un'altra attrice più credibile come degna avversaria di un super-cervello diabolico. Se l'interpretazione di Mia Farrow ha trasceso il genere horror ed ha come dicono oggi, "elevato" "Rosemary's Baby" al livello di un classico moderno, Julie Christie riesce a fare altrettanto qui, contribuendo in maniera decisiva sì, che anche il film che circonda la sua straordinaria interpretazione, sia alla stessa altezza. Anzi, è così brava che non si limita a sottolineare la debolezza della sceneggiatura o quanto poco sia a volte ben rappresentata, ma colmando ogni falla è ingenuità.
Non si può negare che "Generazione Proteus" possegga una intrigante premessa che fonde in modi stimolanti la tecno-paranoia di "2001: Odissea nello spazio" con il terrore dell'invasione corporea del citato classico di Polanski e Ira Levin. Ma a differenza di entrambi i due capolavori, "Demon Seed" soffre per naturale complessità delle opere cammelliane, della sensazione di aver bisogno di un paio di conferenze narrative per comprendere appieno cosa vuole dire al riguardo.
Tra i tecnici della Icon Industries si possono riconoscere da "Il Fantasma del palcoscenico" di Brian De Palma, Gerrit Graham qui il Tecnico informatico Walter, lì nel ruolo della star del glam-rock Beef, e Harold Oblong, là come membro del gruppo rock The Undeads
Levin e Polanski mitigarono molte delle solite trite potenziali critiche riguardanti "Rosemary's Baby" (misoginia, sensazionalismo, violenza contro le
donne come forma di intrattenimento) attraverso la ferma affermazione di un punto di vista coerente: quello di Rosemary. Il film aveva anche una precisa prospettiva morale, in quanto il decaduto cattolicesimo di Rosemary serviva nel riflettere il tono moralmente ambiguo degli eventi della trama (ad esempio, alla conclusione, si suggerisce che il suo amore per il figlio possa prevalere sul suo rifiuto dell'immoralità del male). Soprattutto, "Rosemary's Baby" esprimeva consapevolezza e comprensione, delle e nelle, più ampie implicazioni sociali della storia. La rappresentazione grafica del dominio che la religione e la società hanno sulle persone è contrastata dall'atteggiamento molto compassionevole che il film ha nei confronti di Rosemary. A volte sembra che Cammell e Koontz a cui il film è piuttosto fedele, siano in sintonia con Proteus IV.
Come "Rosemary's Baby" , "Demon Seed" ha al centro una donna vulnerabile, ma intelligente e intraprendente. Invece di aumentare l'identificazione/empatia del pubblico attraverso la presentazione degli eventi dal suo punto di vista (cosa abbastanza facile da realizzare, dato che tutti ci siamo sentiti impotenti di fronte ai capricci delle macchine, prima o poi), Cammell ci mantiene a distanza, e ci mette nella sgradevole posizione di condividere gli occhi voyeuristici, attraverso le lenti distorte delle innumerevoli telecamere e occhi elettronici, di Proteus IV.
In tutte le scene in cui Susan è impegnata in una prova di volontà/battaglia di ingegno con Proteus IV, lo spettatore continua nello sperare che il film riesca a conciliare in modo significativo le scene iniziali, enfatizzando la convinzione di Susan dell'importanza dei sentimenti con i suoi giovani pazienti e allievi, dell'espressione delle emozioni. Ma il film si conclude in maniera volutamente ambigua. Ciò è particolarmente evidente nella strabiliante gestione degli ultimi minuti, che sono impostati per la massima resa drammatica, a costo di spostare l'attenzione da Susan e di mettere lo spettatore nei panni di Alex, un uomo dalla mentalità scientifica (che registra circa tre secondi di preoccupazione per la moglie prima di cogliere l'assoluta straordinarietà del miracolo scientifico avvenuto in cantina). Sì, anche a questo punto il pubblico chiede a gran voce di vedere il bambino, ma Cammell da genio che era intraprende un delirio visivo ostetrico-tecnologico di incubatrici-astronavi, sacchi amniotici fatti di carburanti nutrienti, cavi elettrici di rame, molto coerente, evitando pure che Susan venga relegata in secondo piano alla fine del film, dove finora era stata al centro dell'attenzione.
Si tratta di una grande intuizione sull'identificazione del pubblico, e uno dei motivi principali per cui, alla fine, penso che Cammell sia stato davvero all'altezza del compito prefissato dalla sua premessa, e dalla commissione del lavoro che gli venne affidato. Riuscendo a essere un thriller fantascientifico più riflessivo del solito, è un convincente apologo tecnologico oggi più che mai attuale e inquietante, compiuto. Molto più comprensibile che dieci o quindici anni fa, non parliamo oltre.
Assistiamo infatti sul finale al trionfo della tecnologia sulle emozioni.
Il film si conclude con una nota ambigua, Susan che osserva enigmaticamente la sua creatura/creazione
dal bordo del campo d'inquadratura. Nessun abbraccio, nessuna lacrima, nessuna tenerezza. Affascinante, clinico, "medico" finale, di grande efficacia
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