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Il cappio

Regia di Wojciech J. Has vedi scheda film

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La recensione su Il cappio

di Baliverna
7 stelle

I giorni perduti di un alcolizzato alle prese con in suoi demoni. Non per tutti i gusti.

Il film tratta lo stesso argomento di “Giorni perduti” di Billy Wilder (un alcolizzato che cerca di venirne fuori), ma lo fa in modo più pessimista. Né Has, né Wilder edulcorano o minimizzano il dramma vissuto da un uomo schiavo del vizio di bere, mostrando l'inferno in cui vive e le tremende umiliazioni che gli vengono inflitte dagli altri e dall'alcool stesso, ma il secondo lo guarda con un filo di positività e di speranza in più.

L'azione si svolge in un'anonima città polacca (almeno mi pare che non venga nominata), per vie e contrade che difficilmente possono essere ascritte ad una in particolare. All'inizio non è chiaro quale sia la situazione e il contesto; vediamo solo un uomo in uno squallido appartamento, che riceve strane telefonate, e vive in uno stato di ansia e paura. A poco a poco, capiamo che è un alcolizzato che sta cercando di smettere; è sobrio, e deve affrontare la giornata senza toccare la vodka. È un breve lasso di tempo, che però gli sembra un'eternità. La mattina dopo, verrà la sua fidanzata a prenderlo per portarlo all'ospedale, e tentare una cura a base di certe pillole. Ma le terapie mediche possono poco, se non c'è la ferma volontà da parte della persona – così almeno raccontano gli altri ubriaconi che si vedranno poi. Il problema è chi beve e perché, non l'alcool in se stesso. L'alcolizzato, quando capisce di esserlo, ha già perso quasi tutta l'autostima e si disprezza. Per questo è demotivato verso la lotta che deve combattere. E l'inferno lo vive anche chi cerca di aiutarlo.

Questa, in sintesi, la cornice in cui si svolge l'azione, la quale non ha nulla di eccezionale: a zondo per le vie della città, incontro con ex-amici che ora lo evitano (o falsi amici che si divertono a prenderlo in giro), un alterco con un attaccabrighe, noie con la polizia, ed ecco che entra in una bettola e ricasca nel vizio, come chi offre la gola ad un mostro con cui è inutile lottare.

Il cappio del titolo – per la quasi totalità del film – è la situazione per nulla favorevole alla lotta che deve combattere il protagonista: chi nutre sfiducia e anzi lo bolla come ubriacone cronico, chi si diverte a stuzzicarlo per farlo scoppiare di rabbia, chi stupidamente e ingenuamente gli offre da bere, chi lo tratta con cinismo e indifferenza. Si vede solo un buon amico, che lo raccoglie dalla strada con la sbornia e lo riporta a casa, e la sua fidanzata che lo ama, poverina. Troppo poco.

Il film è condotto con lentezza, ma anche con mano ferma, la mano di questo regista che fin'ora non conoscevo. La sua abilità nel dirigere e nel scegliere l'inquadratura è indiscutibile. Si vedono anche alcune scene inquadrate tramite gli specchi, operazione non certo semplice e banale. Anche gli attori sono tutti bravi, a cominciare dal protagonista. Quello che rimprovero a Wojciech Has è, se mai, l'eccessivo pessimismo: la sua pellicola comunica, cioè, la disperazione più nera. Mi pare di leggere il messaggio: se sei alcolizzato, non hai speranza di venirne fuori; nessuno ci riesce. Intanto, una parte di persone, con la perseveranza, ci riesce. E poi trovo che il suo sia un messaggio nefasto e pericoloso per chi ha questo problema.

Sullo sfondo, vediamo una Polonia grigia, che ancora si lecca le ferite della guerra. La povertà serpeggia tra la popolazione, e le case sono fatiscenti. I motivi per cui stare allegri sembrano pochi: è forse questo quadro generale che spinge taluni ad attaccarsi alla bottiglia, per dimenticare. Del resto, l'anno successivo Andrzej Wajda diresse “I dannati di Varsavia”, altra pellicola che comunica un forte senso di disperazione; questo doveva essere, evidentemente, un sentire diffuso tra la gente in quegli anni. Gli esordi di Roman Polanski (di lì a poco), benché cupi, denotano comunque un leggero rinvigorimento della visione della vita.

Sconsiglio altamente questa pellicola a chi ha problemi con la bumba. E non faccio per dire, lo intendo veramente.

 

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