Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film
Fino all’ultimo respiro
"A bout de souffle" è considerato dalla stragrande maggioranza della critica un'opera rivoluzionaria nella Storia del cinema e dunque un capolavoro assoluto, uno dei pochi film che riuscì a rinnovare il linguaggio cinematografico in virtù delle sue novità a livello stilistico, paragonate da Susan Sontag alle innovazioni in campo letterario di James Joyce o a quelle musicali di Igor Stravinskij. In passato ho avuto alcuni dubbi sulla grandezza di questo film, ma all'ennesima visione sono riuscito finalmente a scioglierli: quello che colpisce in questo e in altri film di Godard è la sensazione di libertà trasmessa dalla regia, lo stile innovatore e iconoclasta (montaggio discontinuo e frammentario, rotture di tono ricercate, accumulazione di falsi raccordi, ossia il celebre "jump cut" che non fu inventato da Godard, ma che divenne popolarissimo proprio a partire da questo film). “A bout de souffle” fu il manifesto teorico della Nouvelle Vague e contribuì a creare un nuovo Cinema, con film girati spesso senza un vero copione al di fuori degli studios, che almeno fino ad un certo punto diede frutti gloriosi (anch'io apprezzo il cinema di Godard soprattutto nella sua prima fase che arriva fino al 1968; la sua evoluzione successiva sarebbe decisamente da approfondire, contiene capolavori come le “Histoires du Cinema”, ma a tratti può risultare eccessivamente intellettualistica). E' una pellicola in cui la trama da film Noir conta poco, in cui il regista rende molti omaggi cinefili e già utilizza numerose citazioni e si concentra quasi unicamente sullo stile e la creazione di atmosfere: provocatorio, anarchico, controcorrente e, a tratti, fittamente dialogato (ma nell'ultima visione ho apprezzato molto di più proprio la lunghissima scena nella camera d'albergo di Jean Seberg, che dura circa 25 minuti ma non annoia grazie alla sapiente scansione dei vari momenti che la compongono, e che risulta in definitiva l'elemento di maggiore rottura dell'opera rispetto a tutta la tradizione precedente). Girato tutto in esterni parigini autentici come il boulevard des Champs Elysees, spesso con la macchina a mano in luogo del carrello dal grande operatore Raoul Coutard, ebbe un notevole successo di pubblico e fece di Belmondo e della fragile Jean Seberg due star (ma a beneficiarne sarebbe stato soprattutto il primo, vista la sua lunga carriera): Belmondo è perfetto nel suo fascino sfrontato e nella recitazione da divo americano anni ’40, mentre la Seberg gioca molto sulla sua non perfetta padronanza della ligua francese, anche nel finale in cui continua a chiedere “Che cosa vuol dire schifosa?” Tra le altre cose, un film che parla di amore, di tradimento, di angoscia esistenziale e di morte e che rende esplicito omaggio alla serie B americana. Un'opera prima che ha influenzato tantissimo il cinema moderno, come vent'anni prima lo fece Quarto potere di Orson Welles.
Voto 10/10
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