Regia di David Lean vedi scheda film
Tra i film meno celebrati nella carriera di Lean vi è proprio La figlia di Ryan. Dopo aver ottenuto tripudi di premi, incassi e critica con alcune produzioni colossali, Il ponte sul Fiume Kwai (7 Oscar), Lawrence d’Arabia (altri 7 Oscar), Il dottor Zivago (5 Oscar), il regista sceglie un soggetto ben più intimo, meno votato all’azione quanto al melodramma. Sullo sfondo di un’Irlanda del 1916, meravigliosamente fotografata tra le coste irlandesi della penisola di Dingle, agitata dalle lotte per l’indipendenza dalla Gran Bretagna, vediamo l’evolversi di una love story tra la giovane Rosy Ryan, figlia del locandiere Thomas, che si invaghisce del maturo insegnante Charles Shaughnessy, attirata dai suoi modi decisamente più garbati degli abitanti del luogo e dalla speranza di un futuro più emozionante rispetto alla monotonia del villaggio sperduto in cui vive. Proprio come Madame Bovary, romanzo a cui lo sceneggiatore Robert Bolt si rivolge per elaborare la vicenda, la passione e le emozioni del matrimonio vengono prontamente smorzate dai rispettivi pudori, dal contesto e dalla monotonia. Un nuovo arrivato, il maggiore Randolph Doryan, segnato nella mente e nel fisico dai combattimenti sul fronte francese, diviene motivo di attrazione per Rosy, con il quale inizia un’appassionata relazione clandestina. La comunità però è piccola e un fortuito incontro con il povero Michael, un disabile considerato sostanzialmente come lo “scemo del villaggio”, attraverso delle sue movenze ed alcuni gesti, farà emergere la tresca che si sta consumando tra i due. Una coraggiosa azione in supporto della milizia irlandese, che riesce a recuperare un carico d’armi dal mare in tempesta con il supporto di tutta la comunità del posto, viene però funestata da un intervento dei militari inglesi, i quali sono stati avvertiti da una spia locale. Sebbene l’autore di tale delazione sia il locandiere del posto, il sig. Ryan che è al soldo appunto dei militari inglesi, nonchè padre di Rosy, la comunità non ha dubbi sulle responsabilità. Tanto più che lo stesso Ryan si è dimostrato eroicamente collaborativo nei confronti dei “ribelli” irlandesi. In un finale che sfocia nella violenza solo Charles avrà ancora parole e atteggiamenti di comprensione per la moglie, nonostante i tradimenti perpetrati ai suoi danni.
Sin dalle prime sequenze, Lean è durissimo nel tratteggiare una comunità sperduta, chiusa in sè stessa e che ha ben poco a che vedere con la solidarietà e lo spirito narrato da altri registi (John Ford tra tutti) relativo ad contesto bucolico e sostanzialmente bonario. Al contrario osserviamo la ferocia del villaggio esprimersi gratuitamente nei confronti dell’indifeso Michael, che viene brutalmente umiliato mentre rientra al villaggio con un crostaceo, così come vedremo scatenarsi l’ira di uomini e donne nel finale, che vede quale vittima la protagonista Rosy, sospettata di essere una delatrice nei confronti degli inglesi. Si constata dunque, quanto la comunità trabocchi di pregiudizio, di violenza e falsità: non appena sospettata della relazione con l’ufficiale inglese Rosy si vede ostracizzata dalle altre donne, che si inseriscono nel contesto descritto da un ufficiale del posto, che descrive le donne “o vergini o sposate”. La struttura narrativa che, come detto, riprende le insoddisfazioni della protagonista del capolavoro di Flaubert, non offrono chissà quali innovazioni: diciamo che l’evoluzione è abbastanza classica. Inoltre a differenza del romanzo di Flabuert si può dire che Rosy non abbia il carisma o l’esuberanza (sia morale che sessuale) di Emma Bovary, così come la figura di Charles, sebbene non dimostri grandi sussulti caratteriali, anzi ad una prima visione appare persino difficile da comprendere la sua evoluzione nella vicenda, non viene però dipinto con le caratteristiche di dabbenaggine ed incapacità del suo omonimo letterario (che persino professionalmente è considerato un incompetente), è anzi una figura responsabile e che riesce a cogliere, a differenza di Charles Bovary, i cambiamenti della moglie. Se la figura dell’ufficiale inglese è piuttosto legnosa (forse anche per via di un interprete privo di grande spessore), appare invece di grande carisma il personaggio di padre Collins, un prete coriaceo, duro con il suo gregge e disposto ad affrontarlo quando vede delle ingiustizie a cui può porre rimedio, seppur osservando i dettami della religione. Sarà infatti fondamentale il suo intervento in difesa di Rosy. Infine è altrettanto indispensabile ricordare la figura del minorato Michael, interpretato da John Mills, capace di far trasparire una grande umanità a questo personaggio che non pronuncia una sola battuta per l’intera trama, e giustamente premiato con l’Oscar, risulta un perno fondamentale della vicenda. Commovente il finale che lascia ai personaggi, così come al pubblico un grande dubbio su come finirà la storia tra i due protagonisti. Infine è da elogiare il maestoso lavoro tecnico compiuto dal regista e dai collaboratori per gestire un set che rendesse al meglio la bellezza dei paesaggi naturali: la fotografia di Freddie Young, che ricevette l’Oscar per questa pellicola (peraltro qui al suo 3° riconoscimento da parte dell’Academy e sempre per un film di Lean), è limpidissima è riesce a cogliere la vividezza del paesaggio; la sequenza del ripescaggio delle armi dalle acque è una delle più appassionanti e meglio filmate. La realizzazione del film è stata puntellata dalla puntigliosità del regista che volle riuscire a cogliere al meglio le sequenze con intempeire naturali, che portarono a dilatare i tempi di realizzazione in modo significativo, ma al contempo dovette anche girare intere sequenze in Sudafrica per via delle condizioni climatiche che non permettevano di procedere con le riprese. Sicuramente un film meno innovativo e meno appassionante di altre pellicole del regista, tuttavia sorprende che all’epoca innalzò soprattutto gli strali della critica che bollò il film come un prodotto di scarto. Lean tornerà dietro la macchina da presa quasi 15 anni dopo con una pellicola altrettanto monumentale e coraggiosamente ancor più fuori dai ritmi e dagli schemi delle produzioni contemporanee.
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