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Mare dentro

Regia di Alejandro Amenábar vedi scheda film

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David Cronenberg

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La recensione su Mare dentro

di David Cronenberg
4 stelle

Ramòn è tetraplegico, inchiodato al letto da ormai ventott’anni, quando tuffatosi in mare da uno scoglio colpì la nuca contro il fondale sabbioso e ne rimase vittima fisiologica per tutti gli anni seguenti. Oggi Ramòn vuole semplicemente morire, in una maniera legale, con dignità, fra i suoi conoscenti, fa richiesta di eutanasia, e per tale domanda conosce un’avvocatessa della quale s’innamora, conosce anche una donna disperata con due figli e senza quasi un lavoro, che consola come una figlia, e conosce la vita del non vivere. Alcuni lo dimenticheranno, altri se ne innamoreranno.
“Mare Dentro” tralascia pian piano la cognizione di causa, ci disegna spaesati osservatori di leggi vitali e mortali, dimentica la lotta legislativa creando una lotta esistenziale, tra anime diseredate di virtù e incanalate in perle di morale. Amenàbar è superfluo anche sta volta, il suo è un lavoro di estesa riflessione, realizza invece una pellicola contenente brevi e ridondanti sequenze in dissolvenza, che dissolvono appunto ogni qual si voglia sentimento competitivo per una provocazione sottotono verso un infinito irraggiungibile. Non basta la sicurezza fin troppo accreditata di un Bardem comunque interessante, a far girare la grande macchina emozione, fossilizzatasi su stereotipi più visivi che concettuali, inseriti in un contesto privo di filologico buonsenso. Con il tono compassionevole, altruista, estremamente prevedibile, di un regista interessato solo ai suoi momenti, proprie sensazioni ed emozioni, non si raggiunge realmente mai nulla, si rimane sospesi tra l’uomo intelligente e onnipotente, e le donne riscoprenti del confidenziale feto. È inutile inserire opulenti dosi di onniscienti personaggi, senza mai caratterizzarli in due ore e cinque minuti di film, si cade inevitabilmente nel baratro della superficialità, dell’errore indotto, dell’irritante patetico, è ancor peggio inserire pacchiane sequenze oniriche, intimiste e mal riuscite, banali e disdicevoli. Ci sono momenti di una scoordinazione spaventosa, amori ritrovati, sogni baciati, parenti che fanno riscoprire la vera identità dei parenti, nipoti tuttofare, ignoranza assortita e autodidatticismo, le emozioni gravano totalmente, che non si pensi che la provocazione scagliata dentro al mare, più in quello innominato burocratico che in quello vita/morte, faccia ridestare da un letargo narrativo fermamente consolidato dal principio. C’è quindi un grave problema nel cinema moderno, il non saper affrontare il passato del moderno, l’elucubrare una mesta identità di vita/cinema/morte, che si identifica qui appunto in sconvenienti interpretazioni, slanci idillici sul filo del ridicolo e verbo gentilmente identificato nella massimale ignoranza culturale. “Mare Dentro” non meriterebbe altro che una visione al camposanto, per cercare almeno lì di identificare quei fatiscenti intenti che il regista sottolinea sempre più pedantemente, e se questa era l’occasione per non prenderli sul ridere o sul sussulto dalla sedia, rimpiangiamo “The Others”, il suo film non suo, il suo riflettere causa/effetto, qui vi è solo causa, nessunissima reazione. La morte è uno dei tanti misteri della vita, perché svelare la sua non paura, perché contraddirsi da pellicola a pellicola, c’è modo e modo d’assegnare un Leone d’Argento ed una Coppa Volpi al Festival di Venezia numero 61, non si tratta di cabala, si tratta di buonsenso azzerato.

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