Regia di Chris Kentis vedi scheda film
Una coppia di “manager della città” và in vacanza presumibilmente in un paese tropicale, dove vuole provare l’ebbrezza di un immersione subacquea, comunque insieme ad altri sub prendenti parte ad una gita in battello fino in mare aperto. I due, sott’acqua si dileguano dal gruppo, e quando riemergono nel punto d’incontro non trovano altro che il nulla, il battello è ormai solo un puntino all’orizzonte, e il mare cela numerose insidie.
Girato interamente in digitale dal regista factotum Chris Kentis, “Open Water” è un film di una bellezza snervante, di un fascino psicologico e apocalittico che mancava ormai da tempo, e di una mistica aridità sensoriale che cela il più ossuto pragmatismo di un plot tratto da un indicibile storia vera. Tutto va debitamente considerato di “Open Water”, e come purtroppo non fare cenno, anzi obiezione ai dialoghi, di una banalità estrema, e alle interpretazioni, da telefilm domenicale, che fanno dimenticare, a volte, la terribile vicenda che stiamo vivendo. Ma “Open Water” è soprattutto cinema, viscerale, spiazzante, sprezzante, incandescente, glaciale, grande. Chris Kentis ci parla di parallelismi temporali, di speranze ormai vane, di imperdonabili errori, di ancor ritrovate speranze e di amori sfiancati, nel mare di “Open Water” è davvero rinchiusa la vita, un esistenza variabile, carnosa, intraprendente, ridotta ad un nucleo così ristretto da rimandarci alla più brulla natura della morte, che sopraggiunge in una delle maniere più fluenti, ondose, corrose da moti paralleli che un giorno, ci osservano ballare e sventrare squali sulla terra, e lo stesso giorno essere derisi tramite una macchina fotografica, che grida il suo scopo, il ricordo, qualunque esso sia.
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