Regia di Vladlena Sandu vedi scheda film
Il nome Vladlena tiene in sé la radice del nome "Lenin", perché Vladlena è nata in URSS negli Anni Ottanta e Lenin era ancora un eroe, un riferimento, un simbolo onnipresente in monete, bandiere e addirittura torte di compleanno. Ma l'URSS si sfalda, l'"ubriacone" Eltsin prende il posto di Gorbaciov, e il luogo in cui Vladlena è nata diventa la Cecenia. La strategia con cui Memory racconta la Storia della guerra che ne seguì è quella della voce fuoricampo, dei materiali di repertorio e il più delle volte dei tableux vivants di chiara discendenza parajanoviana (da Sergej Parajanov, il mitico regista armeno), nella speranza che la sua storia privata possa trovare una permeabilità rispetto alla Storia di tutti e di tutte, specialmente dei paesi che in guerra si ritrovano a rendere i propri bambini testimoni (e vittime) delle peggiori atrocità. L'ago però si inclina eccessivamente sull'assimilazionismo tematico, di quel tipo che si confonde spesso con l'empatia generalizzata, e quindi Memory si slabbra in un'ampiezza totalmente impersonale, figlia di un ecumenismo quasi generalista. È indubbio che la tematica delicata chiami alla responsabilità dello spettatore rispetto alla percezione delle guerre (del passato e del presente), e che quindi il film sia facilmente riconducibile alla grande etichetta dell'"urgenza politica", attuale più che mai nel 2025. Ma a mancare è la storia con la s volutamente minuscola, quella privata che sta solo nelle intenzioni e nelle sinossi; mancano la percezione laterale e distorta, la sghemba inconsapevolezza infantile, la specificità umana di un corpo e di una singola coscienza. Sandu vede tutto col senno di poi, tanto che i materiali di repertorio diventano emblema presente e mai evocazione passata, e le riflessioni sul trauma collettivo si fanno inerti e di pura retorica, di performatività declamatoria.
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