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Broken English

Regia di Jane Pollard, Iain Forsyth vedi scheda film

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La recensione su Broken English

di EightAndHalf
6 stelle

Marianne Faithfull è una delle icone più trasversali alla musica, alle arti e alle immagini della seconda metà del Novecento e oltre. Pollard e Forsyth immaginano di dedicarle un ritratto in una sorta di studio televisivo che pare anche una base dei servizi segreti, in un capriccio per metà fiction in cui George Mackay è l’intervistatore di Faithfull e Tilda Swinton è la misteriosa demiurga in una stanza dei bottoni. Faithfull, appena ripresasi dal Covid-19, dibatte sui perni fondamentali della sua vita (ovviamente Mick Jagger ma anche i suoi album da solista, le collaborazioni, il teatro, il cinema) saltellando fra foto, video, lettere, alcune a lei ben note e altre totalmente sorprendenti, così che Broken English diventi uno strano esperimento ibrido che registra le reazioni spontanee dell’artista. L’obiettivo, nella bocca di Tilda Swinton, è il seguente: buttare via le falsità e le dicerie storiche che hanno ridotto Faithfull agli stigmi che si è ritrovata addosso nel corso della sua carriera, e ristabilire così la statura di un’artista completa e commovente. E il film così regge appassionante e mai lezioso né ciecamente apologetico: l’icona è spiegata, ragionata, riletta, mai data per scontata, in una dialettica che prevede sì l’interlocuzione con la diretta interessata ma che è anche in grado di gestire autonomamente gli accostamenti più efficace per creare sintesi. Tanto che, lungi da volontari effetti terapeutici, l’operazione sembra aiutare Faithfull stessa a far ordine fra volti, canzoni e documenti che hanno fatto la storia della musica contemporanea: è il valore del cinema oltre l’intervista diretta. Il finale di Broken English, che è l’ultima performance registrata di Faithfull (fatta insieme a Nick Cave), è la sequenza più commovente di tutta la mostra di Venezia 2025. 

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