Regia di Kaouther Ben Hania vedi scheda film
"La voce di Hind Rajab" è stato il film-sorpresa dell'ultima mostra del cinema di Venezia, dove ha ricevuto una standing ovation di 24 minuti, a quanto pare la più lunga nella storia del festival, ha vinto il Leone d'argento Gran premio della giuria e ha ricevuto generalmente ottime critiche.
Il film è un'attenta rievocazione della vicenda, ormai tristemente nota, della bambina palestinese di cinque anni che era rimasta imprigionata in una macchina con i cadaveri di zii e cugini a Gaza nel gennaio del 2024, e della sua disperata telefonata agli operatori della Mezza luna rossa, che per mandare un'ambulanza sul luogo dovranno superare infinite difficoltà burocratiche e, purtroppo, non riusciranno ad evitare la tragedia. Si tratta chiaramente di un'opera militante diretta dalla regista tunisina Kaouther Ben Hania, che opera una fortissima denuncia della follia del conflitto armato e della strage di civili a Gaza da parte delle truppe dell'Idf lasciando fuori campo la guerra e concentrandosi per quasi 90 minuti unicamente nei locali degli operatori telefonici, che ci fanno rivivere la tragedia a partire dalle loro reazioni emotive, dal tentativo di infondere fiducia alla bambina, di trovare una soluzione per salvarla e compiere un atto di umanità che si opponga alla barbarie della strage.
Giudicare in sede estetica "Hind Rajab" è difficile, perché è un film costruito in maniera diversa dai soliti film di fiction sull'argomento, la regista vuole denunciare l'orrore attraverso le interazioni convulse dei centralinisti e fin qua si direbbe tutto bene, il dramma è ricostruito scrupolosamente, in tempo reale, con una regia che si mantiene generalmente sobria ed efficiente e che solo a tratti calca un po' la mano sugli effetti lacrimosi, che era impossibile evitare del tutto in una pellicola del genere. L'elemento più controverso dell'intera pellicola è la decisione di ricorrere alle vere incisioni della bambina, per quanto ci viene riferito, in modo tale che ascoltiamo la sua vera voce che supplica la salvezza in un contesto di fiction e che conferisce alla pellicola un aspetto da "docudrama", ma che lascia aperto il campo a critiche di spettacolarizzazione della materia o perfino "pornografia del dolore", come hanno fatto i detrattori più accaniti del film.
A mio parere la scelta è radicale, controversa, volendo anche discutibile ma non tale da rovinare davvero l'impianto del film, dunque può avere un suo senso e una sua giustificazione nell'ambito di una pellicola che, però, mostra alcuni limiti di regia sia a livello di riprese, a tratti un po' troppo scontate nel ricorso alla macchina a mano, sia in un'enfatizzazione eccessiva di alcuni scontri fra gli operatori che appaiono più sensibili alla causa e il loro coordinatore che si perde nelle magagne della burocrazia. Dunque io ne consiglierei la visione, magari ridimensionando un po' certi entusiasmi da capolavoro, ma comunque apprezzando la forte carica di denuncia civile che ha strappato tanti applausi a Venezia.
Voto 7/10
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