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La voce di Hind Rajab

Regia di Kaouther Ben Hania vedi scheda film

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La recensione su La voce di Hind Rajab

di rj
7 stelle

The Voice of Hind Rajab: il film che racconta la guerra senza mai mostrarla

 

 

The Voice of Hind Rajab, film tunisino diretto da Kaouther Ben Hania, in concorso all'82 esimo Festival del cinema di Venezia e vincitore del Leone d’argento Gran premio della Giuria (secondo riconoscimento più importante del festival dopo il Leone d’oro). Il film, considerato il vincitore morale del festival dal pubblico (che gli ha riservato la standing ovation più lunga della storia, ben 24 minuti di applausi) e dai giornalisti (che lo premiavano come un'opera di vita), arriva finalmente nelle sale italiane e dal 25 settembre sarà possibile vederlo in diverse sale selezionate.

 

The Voice of Hind Rajab è un film tratto da una storia vera risalente al 29 gennaio 2024. Una bambina (Hind Rajab, per l’appunto) rimane intrappolata in una macchina con la cugina Liyan Hamada che contatta tramite una chiamata la Mezzaluna rossa, la più grande organizzazione umanitaria del mondo, in particolare la sede a Ramallah. Si trovano da sole in macchine dopo che un carro armato con dei soldati israeliani hanno ucciso la famiglia di Liyan. La stessa Liyan farà la fine della famiglia lasciando Hind, una bambina di cinque anni, da sola in macchina in mezzo ai cadaveri dei parenti uccisi e in chiamata con il centralino. Gli operatori si impegneranno con l’obiettivo di coordinare l’ambulanza e salvare la bambina.

 

Il film, da un punto di vista meramente tecnico, risalta solo per una capacità in particolare: quella di raccontare la guerra senza mostrarla. Senza mostrare armi, senza mostrare sangue, restando in una stanza per tutto il tempo. Il film scava la parola, usa la tecnica del “Less is more” scavata fino all’osso, estremizzata, andando a sostituire ogni immagine della guerra con voci, rumori e suoni. Non è sbagliato infatti dire che The Voice of Hind Rajab è un film che lavora per sottrazione togliendo ogni immagine della guerra e costringendo lo spettatore a concentrarsi sullo stato emotivo e psicologico di essa. Con tale approccio, inoltre, il film obbliga lo spettatore a immaginare attraverso ogni parola, ogni racconto, ciò che sta succedendo dall’altro lato del telefono, al di là della linea che rappresenta la bambina. La morte, la devastazione, i traumi. Tale è ciò che circonda la bambina che, attonita, altro non può fare che aspettare i soccorsi, sperando di non venire uccisa nel mentre. La scelta di giocare emotivamente col pensiero degli spettatori è la scelta migliore del film perché, l’immaginazione, si sa, batte sempre la realtà. Amplifica e rende soggettivo lo scenario tetro e cupo che si presenta davanti. L’altro lato della medaglia del “less is more” utilizzato, ovviamente, è che si perde molto dal punto di vista tecnico. La regia è infatti molto accademica e poco virtuosa, poco ispirata, poco sperimentale. La regia è composta da inquadrature abbastanza banali (sempre piani e pochissime volte campi, con camera spesso fissa che non fa movimenti) che non riescono ad andare contro ad un approccio stilistico molto tradizionale. La fotografia fredda, invece, aiuta a creare atmosfera: i colori più sopiti e attenuati creano infatti un senso di estraneità e distacco emotivo, non tanto dai personaggi quanto dalla situazione generale (la guerra, che viene disumanizzata proprio attraverso la fotografia oltre che dalle parole e dalle immagini), non riuscendo sempre però a creare la giusta tensione dettata dalla trama. Perde il film, infine, in quegli aspetti un po’ più specifici che, in un contesto in cui il less is more fa da sovrano, non riescono a imporsi e quindi scenografia, costumi e sceneggiatura vengono bocciati (quest’ultima principalmente perché i dialoghi sono quelli che sono stati scambiati veramente tra la sede della Mezzaluna rossa e Hind e quindi non c’è una lavorazione chissà quanto complessa dietro).

 

The Voice of Hind Rajab è un film fondamentale che va visto e a cui va data risonanza (ora che arriverà in sala bisognerà parlarne e portare più gente possibile a vederlo) perché racconta perfettamente quella che è l’attuale situazione in Medio Oriente e che il nostro governo, i social, i giornali e i telegiornali ci nascondono con la propaganda. Non vedere nemmeno una goccia di sangue non sarà un problema, perché finito il film quello che è il trauma della guerra lo avrete fissato nella mente per molto tempo. Alla fine non lo considero il film più bello di questa Venezia né tantomeno uno dei capolavori degli ultimi anni, trovandolo persino un po’ ruffiano per il Concorso a Venezia e retorico sull’ultima scena, sembrando quasi voler obbligare lo spettatore a piangere o a commuoversi a fine film appiattendo tutto ciò che fino ad allora era stato creato. Si fosse concluso con la chiusura della chiamata lo avrei apprezzato di più e non l’avrei trovato poi così retorico.

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