Regia di Mona Fastvold vedi scheda film
Ann Lee è resimente esistita, nel '700 esportò negli Stati Uniti dall'Inghilterra un credo religioso radicale denominato degli "Shaker", basato sul lavoro manuale e sull'astinenza sessuale, ispirato ai rituali d'espiazione dei quaccheri britannici e regolato da vorticose danze ripetitive con cui pregare ed invocare l'amore di Dio. Amanda Seyfried incarna Ann Lee in un biopic che non può essere canonico già in partenza, visto il soggetto, ma Mona Fastvold rincara la dose: filma la sua storia in 70mm e scandisce il tempo in tre capitoli e svariate canzoni (circa una decina), quasi sempre ispirate ai balli del gruppo o ai momenti di privata ispirazione estatica della protagonista (come nel bel pianosequenza per primo piano chiaroscurale nella cella dove Ann Lee viene rinchiusa). È dunque un musical, The Testament of Ann Lee, in concorso a Venezia 82, un'operetta rock perennemente indecisa tra l'animo popolare e la radicalità di un gesto formale ostinato. Il risultato è un po' confuso, con sequenze coreografate spettacolari appiccicate a sequenze riempitive di pura (e moscia) progressione narrativa. Commovente l'adesione alla spiritualità di Ann Lee, motivo di straniamento per lo spettatore contemporaneo che dunque non è invitato all'identificazione né può trarre dalle canzoni appigli nuovi per un avvicinamento emotivo alla donna: alla fine si rimbalza fra la stima per la sua convinzione (e il fatto, concreto, che il gruppo non fa male a nessuno se non al massimo in termini di disturbo della quiete pubblica) e la voglia di considerarlo naif. La verità sta in un mezzo a dire il vero anonimo, nonostante lo strapazzo di due ore e un quarto, e lì sta il vero interrogativo di un film grigio, ridondante, cantato ma anemico: perché canzoni cosi intriganti su immagini tanto esangui?
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