Regia di Kevin Costner vedi scheda film
Per tutti quelli che pensavano che Kevin Costner fosse ormai un sul viale del tramonto (grazie a scelte sbagliate di film e ruoli sia come regista che come attore), Terra di confine rappresenterà certamente un grosso smacco. Il bel Kevin, fascinoso anche da più maturo, zitto zitto (un divo “redivivo” o un divo fino ad ora solo assopito?), ti ha tirato fuori il western più bello dai tempi de Gli Spietati. Un film fatto di eroi silenziosi che non sopportano violenza e soprusi, che non danzano più con i lupi ma li osservano a lungo, che non possono fare a meno di vendicare la morte di un amico, che se ne pentono, ma che lo fanno comunque. Un film fatto di grandi praterie, dove si trascorrono parecchie ore solo per pascolare e legare le mandrie, dove le nuove regole sono malviste ma quelle vecchie ritenute odiose. Un West selvaggio e bucolico dove si piange la morte di un cagnolino, magari ricordando qualche errore di gioventù davanti ad un bivacco, o dissertando placidi sull’eterno scontro tra natura e cultura, tra progresso e antico.
E’ il 1882, la civiltà americana è agli albori. E all’ex killer Charley (Kevin Costner) non va proprio giù che, nella piccola cittadina dove assieme al suo amico Boss (titanico come sempre Robert Duvall, peraltro citato per primo nei titoli di testa) è capitato per far pascolare la sua mandria, il perfido proprietario terriero Baxter (Michael Gambon) faccia pagare un dazio a chi attraversa i suoi territori. E quale migliore occasione per sfidarlo a duello, a lui e ai suoi scagnozzi, quando Baxter per ripicca uccide due cowboy loro amici? Terra di confine è un film classico che si compiace di essere tale, in cui l’amore per l’amata (in questo caso l’intensa Annette Bening, bella anche senza un filo di trucco), se tale è, è sospeso, timido, rassegnato, pudico, magari un tantino lezioso; in cui i rimandi cinefili sono molti, tanti da far pensare che il west(ern), per come lo conosciamo al cinema, non può essere stato che così anche nella realtà; in cui ogni parola, ogni gesto viene misurato, soppesato, levigato, in modo che l’azione, quando scoppia con violenza nel bellissimo finale della sparatoria in città dove le pallottole risuonano con echi gelidi e secchi, abbia un senso, un motivo preciso, pur in mezzo al sangue, pur in mezzo a dei morti. Per questo Terra di confine è un western altamente suggestivo, dall’andamento solenne e assieme capace di un recupero di alcuni elementi-chiave del genere (l’amicizia virile, il riscatto personale, la legge del più forte, la corruzione, il perdono) in una sfera politica che non nasconde niente della propria disillusione. Se il film non sarà ricordato tra i grandi western della storia del cinema sarà solo perché ha avuto il coraggio di non battere strade nuove ma di percorrere, fiero, l’unica possibile, e immaginabile. Quella dell’epica classica.
Francesco de Belvis
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