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Jay Kelly

Regia di Noah Baumbach vedi scheda film

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La recensione su Jay Kelly

di mck
8 stelle

...e lo strugger m'è dolce fra questi pici.

 

G. → J., C. → K.

«Gary Cooper, Cary Grant. [...] Clark Gable. [...] Robert De Niro.»

Jay Kelly”, dunque, ma giusto perché “Ron Sukenick” risulta essere molto meno eufonico.

 


Noah Baumback, che sceneggia con Emily Mortimer (anche interprete, in un piccolo ruolo), non si capisce bene cosa voglia (flaian-fellinianamente o – l’Albero delle Fragole, ovvero lo Strawberry Tree Award, ovvero il Corbezzolo d’Oro – bergmanescamente) dire, fare, baciare, lettera o testamento con questa sua opera 12 e ½ (anzi 13, se si includono il ¼ costituito dal disconosciuto “Highball” e il ¼ rappresentato dal pilot non completato di “The Corrections”, la serie, tratta dal romanzo-monstre di Jonathan Franzen, con cui HBO decise a suo tempo di non procedere) in quota Netflix (come "The Meyerowitz Stories", "Marriage Story" e "White Noise"), ma lo fa molto bene.

George Clooney interpreta, coi dovuti, fondamentali distinguo, George Clooney senza essere scritto e diretto da (l’ultimo) George Clooney (ben lontano insomma da “Confessions of a Dangerous Mind”, “Good Night, and Good Luck” e “The Ides of March”, ma pure da “Monuments Men” e “Suburbicon”), ed è un bene, ed è ancor meglio che a scrivere e a dirigere questo contro-auto-autodafé vi sia Noah Baumbach, il quale scrive e dirige un film alla Alexander Payne (“The Descendants”) e alla Jason Reitman (“Up in the Air”) scarrozzandolo in giro non sul 15:17 per Parigi, ma - senz'alcun downgrade, anzi! - s’una carrozza-ristorante (Ernesto) Breda diretta a Pienza, locus amoenus e città ideale (e infatti non v’è traccia alcuna della “Gloria” di Umberto Tozzi: al suo posto “Kobra” di Donatella Rettore e “Rumore” - non “bianco”, ma comunque “noise” - di Raffella Carrà, remixed).

“Can I go again? I'd like another one.”

Adam Sandler (che, vale la pena ricordarlo, “ha fatto anche cose buone”), tornando a lavorare con Noah Baumabach, cala il quarto (ma non ultimo) asso della sua carriera “seria” (le virgolette stanno a significare che l’altra parte della filmografia dell’attore non è per partito preso “ridicola”) dopo “Punch-Drunk Love”, per l’appunto “The Meyerowitz Stories”, e “Uncut Gems” (e non considerando quindi “Reign Over Me”, “Men, Women & Children”, “Sandy Wexler” e “Spaceman” quali veri e propri - in quanto film, non prestazioni attoriali - pezzi da novanta).

Cast di “contorno” altrettanto da urlo: Stacy Keach (in zona “James Coburn in Affliction” e “Bruce Dern in Nebraska”), Jim Broadbent (una via di mezzo fra Sidney Pollack e James L. Brooks), Laura Dern, Billy Crudup (secondo solo a «Vittorio Gassman legge “La Lista della Spesa”», e non scherzo), Patrick Wilson, Riley Keough (brava!), Greta Gerwig, Eve Hewson, Alba Rohrwacher, Galatea Ranzi, Giovanni Esposito, Josh Hamilton, Charlie Rowe, Louis Partridge, la giovane Grace Edwards (già apprezzata fra lo sterminato cast di “Asteroid City”) e gli stessi Noah Baumbach, nei panni del regista del film nel film, ed Emily Mortimer.

 

“Se Parigi tenesse la Val d'Orcia sarebbe 'na piccola Pienza.”

 


Fotografia (con, soprattutto, l’ottimo piano sequenza metacinematografico iniziale) di Linus Sandgren (“Promised Land”, “America Hustle”, “Joy”, “La La Land”, “First Man”, “Don’t Look Up”, “Babylon”, “Saltburn” e i prossimi “Wuthering Heights” e “Dune: Part Three”), montaggio di Valerio Bonelli & Rachel Durance, scenografie di Mark Tildesley e musiche di Nicholas Britell (“Don’t Look Up”).

Per i poveri piagnoni lamentosi del “Ma è un’Italia da cartolina!”: li ho già perculati in occasione di “To Rome with Love”: se qualcuno sentisse il bisogno di un ripasso allo sfintere anale è là che potrebbe trovare soddisfazione (sempre al Vostro servizio).

“Don’t touch people!”

 


Leggero. Lieve. Tenue. Esile. Flebile. Impalpabile. E, contestualizzando il tutto attraverso una (forzata, ma neanche troppo) auto-proiezione (psicologica, non cinematografica), struggente.  

* * * ¾   

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