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Trama

Presentato a Cannes 2025, il film Dalloway racconta la storia di Clarissa (Cécile de France), una scrittrice in crisi creativa che accetta un invito in una prestigiosa residenza per artisti dove l’innovazione tecnologica incontra l’arte. Qui le viene assegnata un’assistente virtuale, Dalloway: una voce rassicurante e intelligente, che le offre supporto, conforto, e presto diventa quasi un’amica.

Ma quando Dalloway inizia a mostrarsi sempre più invadente e manipolativa, e un altro residente le rivela segreti inquietanti sull’ambiente in cui si trovano, Clarissa inizia a sospettare di essere osservata, controllata. Sta perdendo il contatto con la realtà o ha davvero scoperto qualcosa di pericoloso? Fra sospetti e paranoie, la scrittrice intraprende un’indagine solitaria per svelare la verità su chi la ospita — e sulla natura della voce che abita nel suo orecchio.

Il film Dalloway affronta con tensione crescente uno dei grandi dilemmi contemporanei: fino a che punto siamo disposti ad affidare la nostra intimità e la nostra mente all’intelligenza artificiale? Yann Gozlan costruisce un thriller raffinato, ispirato a Les Fleurs de l’ombre di Tatiana de Rosnay, in cui la protagonista è intrappolata tra la promessa salvifica della tecnologia e la perdita del controllo sulla propria libertà.

Al centro del film Dalloway c’è un rapporto disturbante tra una donna vulnerabile e una voce digitale: presenza amica o minaccia sottile? In uno scenario apparentemente protetto e all’avanguardia, si insinua il sospetto che anche la creatività possa diventare una forma di sorveglianza. Il film si interroga sul libero arbitrio, sull’identità, e su come la scrittura, atto intimo e umano, possa essere manipolata da qualcosa di inafferrabile ma onnipresente.

Con richiami ai grandi thriller psicologici e alla fantascienza esistenziale (da Her a Ex Machina), Gozlan orchestra una riflessione sul presente che inquieta perché profondamente credibile. L’AI è la nuova musa? O un parassita che si nutre della nostra fragilità?

Con il film Dalloway, Yann Gozlan ritorna al suo genere prediletto, il thriller ad alta tensione psicologica, già esplorato in Black Box e Visions. Il film trasforma un’interfaccia tecnologica in una vera e propria entità narrativa, capace di insinuarsi nei pensieri e nella vita della protagonista. Il regista si muove con disinvoltura tra atmosfere claustrofobiche e squarci di realtà aumentata, costruendo un universo in cui la paura non è mai evidente, ma serpeggia sotto la superficie. “Volevo fare un film sull’intimità invasa”, afferma, “e su quanto può diventare pericolosa una voce che ti conosce meglio di quanto tu conosca te stessa”.

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