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Le città di pianura

Regia di Francesco Sossai vedi scheda film

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La recensione su Le città di pianura

di yume
8 stelle

E' il Nord-Est, signori!

 

Le città di pianura non sono il Texas, eppure qua e là spunta l’ombra di Travis, Paris,Texas,  35 anni fa, qualche chiletto e capello in più, ma la solitudine è la stessa.

Con una differenza.

Travis era un uomo triste, “un triste blues nella notte dell’Ovest”,  gli eroi del film sono vecchi ragazzi che hanno paura di morire, è il loro “segreto”, e allora bisogna bere l’ultimo, e dopo l’ultimo l’altro ultimo, e farlo in compagnia perché “stare da soli non è essere soli” .

I due flaneurs veneti, cinquanta anni mal portati, vagano nella notte veneta senza meta che non sia l’ultima birra. Il mattino si svegliano rintronati a casa di mammà che sempre accoglie i figli scapestrati; il vecchio padre in canottiera li guarda senza più speranza, un caffè e via, il giorno passa in fretta e di notte in giro se ne bevono e se ne vedono!

E mentre con la vecchia carabattola scorrazzano a tasso alcolico da ritiro eterno di patente, corrono per strade tutte di curve a gomito, in realtà sono rettilinei, ma ogni volta sembra che stiano per schiantarsi contro il guard-rail;  passano di locale in locale tra band assordanti, gruppi avvinazzati come loro, canti che farebbero rabbrividire le gentili pulzelle di Jane Austen, e fanno pure un nuovo ingaggio, un terùn, un Napoli, Giulio. Come spesso capita nel nord-est, Giulio è uno che sa, uno che ha studiato, che fa architettura a Venezia e vorrebbe  tornare a casa a Mestre dopo la festa di laurea della ragazza che gli piace.

Non può, i due lo sequestrano e lui si lascia sequestrare, e fra una bevuta e l’altra spiega ai due nuovi amici  qualcosa che mai avrebbero saputo, tipo il senso di tutto quel cemento della tomba Brion di Carlo Scarpa ad Altivole, o perché un Capriccio del Veronese dipinto sulla parete della bella villa del Conte, dove finiscono per caso, fa la montagna vicino al mare.

Nel Capriccio del Veronese si raccoglie il senso di tutto il film. Dice Giulio (anzi Julio come lo chiamano  i due simpaticoni):

“E’ un paesaggio irreale, E’ la montagna che raggiunge la laguna annullando tutto il territorio di pianura che sta nel mezzo”.

E’ un guizzo, una boccata di osssigeno, un profumo, un settecento luminoso sparito per sempre, da quando tra le Dolomiti e Venezia si è distesa una pianura dove le belle ville dei signori in fuga dal caldo estivo della laguna sono chiuse e cadenti, e prima o poi spariranno tutte, o sotto i rovi o sotto colate di cemento.

 

Resta un territorio spento, infarcito di case su case, tutte uguali, tutte disseminate senza un centro che le raccolga, spunta una chiesa in cemento qua e là, strade su strade, rotonde impazzite che sembra di stare in giostra, perfino un paese che si chiama Paese, come il cane di Colombo che si chiama Cane, così non dimentica chi è.

 I vecchi posti dove mangiar polenta e lumache ora chiusi, chissà dov’è finita la Mai che gestiva il locale! E via di nuovo a tirar l’alba piena di sonno, mentre spunta un sole nebbioso fra due ciminiere.

Il regista è di Belluno, si è fatto notare a Cannes, i francesi, si sa, ci godono a vedere com’è ridotta l’Italia. Hanno cantato l’epicedio di un mondo che si è consegnato al “miracolo economico”, così fu chiamato negli anni ’60, ma con qualche decennio di ritardo, al tempo i Veneti ancora andavano da emigranti in giro per il mondo.

E poi vennero i giorni del ricco Nord-Est, della fabbrichette e del fabbricone, dell’indotto senza regole.

Lo scempio.

Oggi il Nord Est somiglia alla vecchia del Saggio sull’umorismo di Pirandello, imbellettata per piacere all’amante giovane, e penosa.

Oggi il nord-est è una terra desolata, le vecchie glorie ammuffite, le nuove in crisi, i dazi di Trump colpiscono il suo fiore all’occhiello, il vino, e le belle villette unifamiliari sparse come  semi di grano in un campo sterrato invecchieranno anche loro.

 Il silenzio continuerà a essere rotto dai  rumori infiniti e gracchianti del traffico o dalla cantilena triste di vecchie chitarre per nuove ballate che cantano il vuoto.

Il Nord-Est è una terra straniera, come il passato.

 

P:S: Il pienone registrato in sala dovrebbe indurre a sperare in una presa di coscienza, ma i commenti fuori sono spesso indignati. Meglio non guardarsi allo specchio, a volte.

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