Regia di Kathryn Bigelow vedi scheda film
Stupendo e attualissimo thriller politico al punto da essere perfino inquietante, "A house of dynamite" conferma l'estro e la padronanza del mezzo registico di quella che potrebbe essere considerata senza troppe obiezioni la più grande regista donna della storia del cinema, la grande Kathryn Bigelow, la quale ha ormai scavalcato l'ex marito Cameron de Cameroni nella mia personale lista dei registi preferiti. Diretto, conciso e ritmato in maniera eccelsa, il suo ultimo film ha il merito non indifferente di addentrarsi nel complesso militare/burocratico statunitense e nelle alte sfere della politica a stelle e strisce mostrando le famose "stanze dei bottoni" e districandosi in un mare di sigle, cariche amministrative e figure esecutive che avrebbero potuto facilmente sommergere lo spettatore sovraccaricandone i centri di ricezione, un problema evitato grazie ad un montaggio come al solito esemplare e all'indubbia abilità della regista nel gestire differenti scenari e punti di vista senza perdere il bandolo della narrazione. E più ci si intrufola nei palazzi del potere, nelle sale di analisi e nelle basi militari, più si rimane atterriti dal contastare che pochi granelli di sabbia inseriti fra gli ingranaggi giusti possono portare l'intero, estremamente complesso e articolato, apparato statale a collassare. Il primo motivo è che dietro ogni ordine di procedure vi è sempre un grado di incertezza, di rischio non identificabile, di probabilità non quantificabile che ne mina alla base l'efficacia. Il secondo è l'elemento umano, troppo umano, insito nella catena di comando. Una piccola esitazione, un momentaneo cedere alla pressione, un elemento che performa al di sotto delle aspettative e il sistema restituisce un insieme di errori a catena. La parabola discendente di un missile, partito da qualche parte nell'Oceano Pacifico non si sa per ordine di chi e diretto verso Chicago, è l'occasione per ragionare sulla mancanza di controllo che l'essere umano ha sulle strutture amministrative da lui stesso create. Una volta che il processo è partito, tra svolte casuali e reazioni scriptate, diventa impossibile governarlo. E allora viene da chiedersi se veramente abbiamo mai avuto il controllo sulle nostre creazioni e sul nostro destino, o se la crescente complessità della società moderna ci abbia soltanto illuso di averlo rendendoci invece schiavi dei protocolli da noi stessi creati. Tutto ciò che rimane, alla fine, è il modo in cui ognuno di noi fronteggia l'inevitabile, il modo in cui la nostra umanità si manifesta di fronte all'imponderabile e a ciò che è al di fuori della nostra sfera di influenza. Consci che in un domani anche troppo vicino, il destino della specie umana potrebbe essere in mano ad apparati impersonali votati all'autodistruzione.
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