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Gioco pericoloso

Regia di Lucio Pellegrini vedi scheda film

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La recensione su Gioco pericoloso

di barabbovich
1 stelle

Domando: ma se voi foste i proprietari di una Aston Martin e aveste una casa a Sabaudia che neppure Benetton o Ferrero, dareste le chiavi dell’una e dell’altra a un perfetto sconosciuto, un artista senza arte e poco in parte (visto che Eduardo Scarpetta – cerchietto e ridicola barba risorgimentale - crede di essere ancora sul set di Carosello Carosone)? Immagino di no. E invece dal copione che Lucio Pellegrini ha scritto con Elisa Fuksas (sempre lei, regina Mida al contrario: sarà la casa del padre quella che si vede nel film?) fin dalle primissime battute concepiscono un thriller del tutto inverosimile che parte da questi presupposti. Nel triangolo amoroso che cerca di dare una qualche geometria al film, ci sono Carlo (Giannini, sprecato), celeberrimo critico d’arte col vezzo della narrativa, e la sua compagna Giada (Elodie, imbarazzante, incapace di andare oltre al ruolo di mera presenza erotica). Lei è la ex dell’artista, il quale cerca di entrare nella vita dei due per arrivare ai galleristi che contano.

Con Gioco pericoloso, Pellegrini esce dalla zona di comfort della commedia per azzardare il suo primo thriller. Ne esce un pastrocchio che è anche di gran lunga il suo film peggiore: un’opera che richiede una continua sospensione dell’incredulità, con voragini nella sceneggiatura, sottotrame che evaporano (la ragazza scomparsa, la droga, il rapporto malato con i genitori), inserti pseudo-artistici ridicoli (le rane nella villa, copia scolorita di P. T. Anderson) e un continuo oscillare tra noir erotico anni ’90 e soap patinata. Si aggiungano un copione magniloquente, performance da liceo artistico ubriaco, ville spettacolari ma più fotogeniche che inquietanti e un titolo che promette adrenalina senza mai mantenerla. Il risultato è un’opera che forse voleva essere un gioco di specchi tra arte e vita, ma è solo un gioco al massacro per lo spettatore. Perché, se il cinema è arte, qui siamo davvero alla versione più eclatante della merda d’artista.

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