Regia di Scott Cooper vedi scheda film
Un must, ma solo per i fans storici del Boss
Per un biopic sul Boss, ovvero il più popolare tra i cantautori americani, vero blue-collar rock hero, insomma una specie di leggenda vivente, ci saremmo aspettati qualcosa di celebrativo e spettacolare. Invece arriva questo film dal tono intimo (non crepuscolare, non è ancora il momento) a raccontarci che anche il Boss ha avuto il suo momento di crisi, e che la genesi di uno dei suoi album meno amati, lo scheletrico Nebraska, non era solo frutto di una scelta artistica, ma anche di un personale travaglio interiore, fatto di fantasmi e incertezze sentimentali. Ma se da un lato questo ci porta a ridimensionare il mito di un uomo definito il Boss proprio per la personalità carismatica, espressa tramite un rock energico e un linguaggio tanto diretto quanto toccante, dall'altro, ci porta ad ammirare ancor più l'onestà e la genuinità del personaggio, che ci tiene a ricordarci (il libro si basa sul libro di Warren Zanes, in cui Springsteen si confessa) e a ribadire che in fondo lui resta uno di noi, nonostante la fama e il successo, un uomo, con le sue fragilità. Da un punto di vista cinematografico, dobbiamo ammettere che regia e sceneggiatura non fanno molto per rendere la storia più appassionante, evidentemente per aderire allo stesso spirito che portò Springsteen a registrare un album così scarno e poco commerciale. Entusiasmante invece la prova del protagonista, che, reso molto somigliante con pochi accorgimenti, offre un'interpretazione asciutta, mai sopra le righe, eppure intensa. A questo punto le domande di rito sono le stesse che ho posto nella recensione a "A complete unknown". La conclusione, invece, è più lapidaria: consigliatissimo ai fans storici del Boss, gli altri possono astenersi.
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