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Rental Family

Regia di HIKARI vedi scheda film

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La recensione su Rental Family

di pazuzu
6 stelle

Tutto è carino e simpatico, e di tanto in tanto ci scappa anche la risata o il momento intrinsecamente emozionante, ma manca un discorso d'insieme che trasformi una sequela di scene in un film.

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Trasferitosi in Giappone da sette anni, Philip, attore statunitense, passa le sere affacciato alla finestra a guardar scorrere le vite della gente del palazzo di fronte. Nel frattempo cerca un lavoro che gli dia un minimo di stabilità, costretto a barcamenarsi tra travestimenti da albero e spot in cui impersonifica tubetti di dentifricio parlanti. Quando la sua agente, senza dare altre indicazioni, lo contatta per andare di corsa a fare "l'americano triste," si ritrova - effettivamente unico occidentale - nel ben mezzo di un finto funerale, con tanto di falso morto che a un certo punto si solleva nella bara per interagire con chi sta magnificando le sue opere in vita.
Mezzo morto lui, ma di spavento, si trova pure decurtata parte della paga per aver 'disturbato' la funzione: è appena entrato nel giro di Rental Family, letteralmente "Famiglie a noleggio", ovvero una società che mette i propri attori a disposizione di chi, per le ragioni più disparate, ha bisogno di qualcuno che ricopra qualche ruolo all'interno della vita reale propria o di qualcun altro.

 

 

Aziende di questo tipo in Giappone ne esistono a centinaia, e commissionano le cose più disparate. Se la ragione principale per la quale ciò accade si può ipotizzare sia la sfiducia nella psicoterapia, altro fattore determinante è senz'altro una solitudine diffusa. Solitudine che è uno dei tratti distintivi del protagonista Philip (interpretato da Brendan Fraser), che, oltre che per sbarcare il lunario, si appassiona al nuovo lavoro proprio perché gli permette di entrare in connessione con gli altri, spesso persone sole quanto lui.

 

 

Diretto da Hikari, Rental Family procede con passo più o meno spedito, arrivando al fulcro della storia quando Philip è chiamato a fingersi il padre di una bambina ignara (il cui vero padre è sparito) allo scopo di permetterle di superare il test di ammissione in una scuola importante (per poi sparire a sua volta), e al tempo stesso ad inventarsi giornalista e biografo per restituire importanza ad vecchio attore - anche lui ignaro - che si sente caduto nell'oblio.
Tutto è carino e simpatico, e di tanto in tanto ci scappa anche la risata o il momento intrinsecamente emozionante, ma manca un discorso d'insieme che trasformi una sequela di scene in un film, perché nei momenti cruciali non c'è mai un conflitto degno di nota, non c'è pathos né sostanza: piatto, scontato, senza nerbo.

 

 

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