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Fucktoys

Regia di Annapurna Sriram vedi scheda film

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La recensione su Fucktoys

di Ponky_
2 stelle

TORINO FILM FESTIVAL 43 (2025)

Se nelle oniriche fantasie deviate di qualche avvinazzato cinefilo si fossero nottetempo uniti in un lisergico atto copulatorio “Cléo dalle 5 alle 7” e “Barbie” sul grande schermo di una squallida sala grindhouse, il mattino seguente il materiale per farne un irriverente racconto da osteria sarebbe risultato corposo quanto effimero, appeso alla propria esistenza giusto il tempo necessario per essere seppellito tombalmente in una fossa di meritato oblio dalle sguaiate risate degli astanti.

Sciaguratamente, quella che doveva prefigurarsi come la vivida allucinazione di un alticcio amatore di blockbuster e nouvelle vague, senza velleità artistica alcuna, ha invece preso forma nell’inconscio di Annapurna Sriram, esordiente al lungometraggio determinata a trasformare i propri sogni in realtà.

“Fucktoys” è un mesto delirio di trash artefatto, senza alcuna coerenza interna o logica anche solo stilistica, sghembamente imbellettato di un grottesco che non sortisce effetti differenti dall’irritazione, sostenuto da una narrazione abbandonata a un'autosussistenza della scena che non si cura di un armonioso scorrimento del montato.

Le scenografie, composte da un’accozzaglia di ninnoli a ornamentare ambienti scientemente farlocchi, sortiscono un effetto di posticcio scriteriato, mancando d’una visione d’insieme che possa rendere quell’universo credibile, indipendente dalla storia che vi si esperisce, la quale pare unicamente orientata alla ricerca di un impatto di qualsivoglia natura, priva di stratificazione sotto la plastica scocca.

Non è ben chiaro come questo oggetto non identificato dovrebbe - come da parole della regista - assurgere a metafora della disparità di trattamento tra generi nell’industria del cinema, nonché nell’universo tutto, dal momento che il livello di ingenua stilettata sociale è del tutto impercettibile, sommersa da una coltre di respingente kitsch.

Scrittura e regia sono ai limiti dell’amatoriale e rispecchiano la massima pudicizia travestita da sfacciataggine, insulsamente distante da quel cattivo gusto che, nella teoria, avrebbe dovuto farsi provocante disturbo e sagace umorismo, tratti invero disinnescati da personaggi privi di profondità, con impalpabili archi narrativi aggravati da una durata ingiustificatamente estesa.

Tentando il costante ammiccamento fotografico, l’impianto estetico rivela tutta la propria sciattezza, impressionando scene senza raccordi nel tremolio di una camera a mano sovrautilizzata, in un’opera talmente convinta di sé da non accorgersi di stare banalmente mortificando gli stessi argomenti che pretende di difendere, per mezzo di un linguaggio non all’altezza di intrattenere, figurarsi di sensibilizzare.

In definitiva, “Fucktoys” funziona più come monito per il futuro che come film: incoraggiare uno sconosciuto a inseguire i propri sogni, per mera cortesia, può rivelarsi un errore fatale dalle conseguenze imprevedibili. Se proprio fosse indispensabile, meglio accertarsi che questi non covi, quantomeno, velleità da filmmaker.

 

 

 

 

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