Regia di Davide Minnella vedi scheda film
Un capolavoro, nonostante abbia tutti i crismi del film commerciale. Questo assai insolito connubio si spiega abbastanza facilmente: il regista e sceneggiatore (nonché autore di televisione, di cui mostra abilmente tutti i meandri) Minnella mostra l’orrore della televisione contemporanea, assieme all’esibizione spudorata della propria intimità; trattando peraltro tutti i temi che suscitano la morbosità dell’oggi, e dello ieri (tradimenti, amori gay…), al massimo dell’intensità.
Ma il pregio è che non la fa affatto in modo superficiale. Infatti lo fa esibendo la verità (come dice correttamente il titolo) sullo schifo che pervade la nostra società, in maniera crescente dagli anni ’80: ovvero lo scollamento tra realtà di sentimenti e di vita affettiva, da una parte, e dall’altra, l’apparenza che ci si sforza di dare, per negare agli occhi altrui – ma anche, e soprattutto, ai propri – la frustrazione di non essere ciò che si vorrebbe.
Mirabile è la messinscena, in questo reality show, dell’ipocrisia, che deve coprire l’insoddisfazione reale, al solo fine di soddisfare il palato di un pubblico formato ugualmente da individui disagiati interiormente, che hanno bisogno di avere in pasto il peggio dell’altrui, in modo da illudersi di poter vedere di meno il proprio.
L’orrore degli appalusi finti e spinti, reiterati in modo ingiustificabile, stucchevole ed estenuante, fa da pendant alla conduzione umanamente orripilante – ma professionalmente appagante - di una eccezionale Claudia Pandolfi. La quale, in una parte ben difficile (attorniata da un cast che funzioni proprio bene), oscilla tra l’amichevolezza di facciata e lo sfruttamento delle difficoltà altrui, al solo fine di fare quell’audience che le permette di guadagnarsi lauti stipendi.
Ella fa finta di essere etica vellicando proprio le pulsioni più obbrobriose del pubblico; ma anche degli stessi concorrenti. I quali si sono sentiti (per quanto inaccettabilmente) costretti ad andare avanti in quel tritacarne osceno, che fa a pezzi quel santuario che dovrebbe essere quello della propria intimità.
Una famiglia che per i soldi si espone alle peggiori umiliazioni: una declinazioen del capitalismo che da 50 anni è tornato ad imperare sui colli di Roma – qui mostrati - ma in genarle sull’Italia e in Occidente.
Una stupenda satira sociale, che richiama il meglio della commedia all’italiana.
La normalità della vita vera, non di quella nascosta, può disturbare, fare anche ribrezzo; eppure un velo di umanità, di affetto, pervade il film e la storia di una famiglia delle più disastrate – come anche (verrebbe da dire) delle più comuni.
Questa grande capacità sociologica va ascritta a quest’opera che mette alla berlina le mode dell’oggi (i social, il padel, l’industria delle feste dei matrimoni…).
La Pandolfi può mentire a livello spudorati: «Non facciamo pornografia dei sentimenti… Siete commuoventi, ragazzi straordinari (dopo che fra lo è accaduta ogni sconcezza, ndr)… Siete una famiglia meravigliosa, siete bellissimi…». Intanto, ottimo è l’intramezzo degli intervalli, dove la verità dei mali, e anche dello squallore, si mostra per quello che è. Momenti a microfoni spenti, che invece vengono carpiti in modo illegale dalle telecamere (o dagli smartphone): il che mostra un messaggio positivo. Infatti, in queste trasmissioni, tutti recitano: invece qui si costringe i partecipanti a dire la verità, il che si può controllare tramite la macchina della verità. E ciò è inammissibile, eticamente e – per fortuna (ma chissà fino a quanto ancora) – anche giuridicamente.
La tensione è gestita in modo mirabile, in un film nemmeno così breve, ma che lascia incollati alla sedia, per via della pirandelliana contrapposizione intollerabile intrafamiliare, ben mescolata ai continui colpi di scena, tra i più imprevedibili.
Il mondo dell’apparenza dei social, della tv, e del capitalismo, è il vero bersaglio della critica che questo grande film italiano muove; e che è ben rappresentato anche in questo dialogo, dove la conduttrice può dire alla sua vice: «Il tuo problema è che sei buona, sei gentile, ti fidi degli altri. Per questo non fai carriera… non devi avere pietà delle debolezze degli altri. Deve sempre sfruttarle, a tuo vantaggio».
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