Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film
Roma Est, praticamente quasi Guandong.
Di buono c’è che “La Città Proibita”, opera terza in 10 anni di Gabriele Mainetti dopo “Lo Chiamavano Jeeg Robot” (Guaglianone/Manotti) e “Freaks Out” (Guaglianone/Mainetti), non soffre, parimenti come il suo lavoro d’esordio, dello stesso “problema” che “affliggeva” il film precedente del regista, ovvero la questioncella dell’Italiani Brava Gente: se nella Roma di metà anni ‘40 del XX secolo occupata dai nazisti latitavano i fascisti in quella di metà anni ‘20 del XXI il rischio – attenzione: mini-spoiler – “cinesi veri mafiosi & italiani semplici marpioni” è scongiurato.
A parte un po’ di stanca (il film è lungo e procede per usuali blocchi prevedibili) verso ¾, culminante nel momento della prima rivelazione [preceduto da questa introduzione:
- Lei: “Dimmi cosa hai fatto!”
- Lui: gira la testa per guardare di lato, fuori campo, e la MdP segue il suo movimento del capo e il suo sguardo, poi dissolvenza sonora che anticipa il flashback e stacco netto visivo che apre l’analessi vera e propria.
Cioè, manco ne "Gli Occhi del Cuore" e “Caprera”!], la prima cosa da rimarcare spero (per voi) pleonasticamente, ma comunque doverosamente, è la presenza di un Marco Giallini mostruoso (come solo Pietro Taricone ne "La Nuova Squadra": no joke).
Detto ciò, questo “Year of the Wild Boar” in salsa “Big Trouble at the Esquilino” – sceneggiato dallo Stefano Bises de “La Squadra”, “Tutti Pazzi per Amore”, “Gomorra - la Serie”, “il Miracolo”, “the New Pope” e “Adagio” e dal Davide Serino di “1992”, “1993”, “Ti Mangio il Cuore”, “Avetrana - Qui Non è Hollywood”, duo che assieme aveva già collaborato per “Esterno Notte”, “il Re” e “M - il Figlio del Secolo”, interpretato da Enrico Borello (“SuperSex”), Yaxi Liu (autentica marzialista), Sabrina Ferilli (Americano Rosso, Diario di un Vizio, la Bella Vita, Ferie d’Agosto, Tutta la Vita Davanti, la Grande Bellezza, Un Altro Ferragosto), ShanShan ChunYu e un “Luca Zingaretti di Cechov” (nel senso che prima o poi doveva “sparare” – o, “no”-spoiler, essere sparato – come la proverbiale arma dell’autore de “il Gabbiano”, “Zio Vanja”, “Tre Sorelle” e “il Giardino dei Ciliegi”), fotografato da Paolo Carnera (operatore: Matteo Carlesimo), montato da Francesco Di Stefano, musicato da Fabio Amurri, coreografato da Liang Yang e co-prodotto dallo stesso Gabriele Mainetti con la sua Goon assieme a Wildside, Warner, Vision e Netflix – alla fin fine (per altre ragioni rispetto a “Freaks Out”, ma allo stesso livello) giocattolosamente funziona.
Roma Est, praticamente quasi Guandong.
* * * (¼)
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