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The Smashing Machine

Regia di Benny Safdie vedi scheda film

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La recensione su The Smashing Machine

di kfactor
8 stelle

Attraverso la duplice anima di un lottatore di MMA, Dwayne Johnson, con il regista Benny Safdie e la bravissima Emily Blunt, ritraggono una società che maschera con la forza fisica una fragilità difficile da comunicare a se stessi e agli altri. Un bellissimo e crudo affresco di un mondo più attuale di quello che sembra.

Fin dalla prima entrata in scena, direttamente sul ring, la figura di Mark Kerr è l’emblema del corpo perfetto, costruito per combattere, sorridente di fronte ad ogni timore, impavido davanti agli avversari, chiunque essi siano. Lo afferma lui stesso nel voice off che accompagna le immagini iniziali, si tratta di come si reagisce ai colpi e di chi colpisce per primo. E più avanti, parlando con la fidanzata, Dawn Staples, ammette candidamente che per lui è “orgasmico” trovarsi davanti a quella folla per combattere. Lei ride, ma lui resta serio, perché non sta scherzando. Non è un’iperbole. Quell’apparenza, però, quello stato mentale è solo momentaneo, perché sceso dal ring, tutto il peso della sua fragilità, dei dolori accumulati (“un giorno senza dolore è come un giorno senza sole” afferma mentre cerca un antidolorifico più potente di una siringa di voltaren), diventa la sua realtà quotidiana. E in quel caso la paura vince, si annida nella sua mente sfociando nella dipendenza, distruggendo il suo mondo e la sua relazione. Mark Kerr, nonostante appartenga ad un tempo lontano da quello attuale, diventa il simbolo di una società odierna dove le fragilità vengono nascoste, mascherate da immagini pubbliche sorridenti, da selfie che vogliono testimoniare felicità che non ci sono (molto forte il momento in cui Dawn fotografa Kerr con Usyk e, dietro la macchina fotografica, piange). Tuttavia, quella capacità di lottare sul ring, nel momento in cui è messo al tappeto dal debito delle sue azioni, diventerà anche la forza motrice per una rinascita personale. Dwayne Johnson, che da anni cercava di portare a schermo la straordinaria storia di Mark Kerr, offre un’interpretazione emotiva fortissima, aderendo al ruolo non solo, come era prevedibile, a livello fisico, ma con ogni fibra del suo essere. E’ innegabile come il suo coinvolgimento sia estremo. A Venezia, in conferenza stampa, ha parlato dell’ispirazione che il padre, scomparso nel 2020, gli ha dato per interpretare questo personaggio. Senza alcun dubbio il suo impegno emerge e regala al film una marcia in più. La scelta, poi, del direttore della fotografia, Maceo Bishop, di girare in 16mm e la regia di Benny Safdie, che segue l’attore usando spesso dei piani sequenza e concentrandosi molto sui primi piani o sui alcuni dettagli, della scenografia o del corpo degli attori, spesso quasi “spiandoli” in scena, fanno sì che lo spettatore si senta immerso in un documentario di cui, però, è un testimone infiltrato. Come se stessimo realmente nella vita e nella scena che stiamo guardando. Safdie, non a caso leone d’argento a Venezia per la miglior regia, realizza un non-biopic, portando a schermo un film che abbandona la solita retorica e i cliché del classico cinema sportivo di ascesa/caduta/rinascita. Non c’è nessuna ricerca dell’epico, ma solo una realtà cruda, intensa. Vera. A sottolinearlo anche la colonna sonora di Nala Sinephro, con scelte coraggiose e azzeccate, come “My Way” durante la fase dell’allenamento post riabilitazione di Kerr: non cerca di esaltare il momento, anzi lo porta quasi ad un livello meta-cinematografico, andando a sottolineare che quella è la maniera in cui sta narrando tutta la vicenda ed è la “sua” maniera. A completare questo gioiello, l’interpretazione di Emily Blunt, partner in crime di Johnson, con il quale ha un’alchimia perfetta e con cui crea un rapporto di coppia viscerale, dove i due protagonisti si sostengono e si distruggono costantemente, replicando una lotta di nervi pari, se non peggiore, di quella che i lottatori vivono durante gli incontri. La loro relazione, che è l’altro focus della storia, sempre vista attraverso la lente del 16mm e del reportage, del reality, è imprevedibile e altalenante negli occhi di chi guarda, tanto da non decretare mai un vincitore, ma solo un senso di empatia nell’immedesimazione con una vita di coppia che deve affrontare una quotidianità diversa da molte nei contesti, ma identica nei contrasti dei punti di vista personali.

The Smashing Machine è un film bellissimo, potente, che dipinge con cruda precisione una realtà non tanto lontana da quello che è la società odierna. Da vedere assolutamente al cinema.

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