Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film
Splendido melodramma sulla crisi della famiglia e sullo strascico di dolore che si lascia dietro la disgregazione dei rapporti familiari. Lo stile trattenuto e composto di Ozu contiene in una cornice rigorosissima la materia incandescente di un melo ribollente di sofferenza e di sofferenza e di bisogno d' affetto frustrato e tradito.
La famiglia del maturo impiegato di banca Shukichi conduce un'esistenza per nulla serena. La figlia maggiore Takako è tornata a vivere dal padre con la sua bambina , non andando più d'accordo con il marito che ha problemi con l'alcool. La figlia minore Akiko è sempre ombrosa, ostile e misteriosa e vaga di notte alla ricerca di un amico di nome Kenji. Arriva poi nel quartiere una donna che gestisce una sala di mahjong , e che avvicina Akiko dimostrando di conoscerla fin da piccola: è la madre della ragazze , che anni prima aveva abbandonato marito e figlie per scappare all'estero con l'amante.
Crepuscolo di Tokio è uno splendido melodramma sulla crisi della famiglia e sullo strascico di dolore che si lascia dietro la disgregazione dei rapporti familiari. Il trauma di essere cresciute senza la madre, che le ha lasciate senza nemmeno dire loro addio, non abbandonerà mai le sorelle Takako e Akiko, per quanti sforzi abbia fatto l'amorevole padre per compensarne l'assenza, e condiziona ancora pesantemente la loro psicologia, soprattutto quella della più piccola e fragile. Lo stile trattenuto e composto di Ozu contiene in una cornice rigorosissima , che non produce distacco ma incredibilmente facilita la partecipazione emotiva, la materia incandescente di un melo ribollente di sofferenza e di bisogno d' affetto frustrato e tradito. In una serie di inquadrature fisse, geometrie domestiche, fotogrammi di modernità urbana, insegne di bar e ristorantini, primi piani di espressività emotiva fulminante e riprese dal basso ad altezza tatami, nello stile tipico dell'autore nipponico, si dipana la sua riflessione sull'importanza dei legami familiari, tema cardine di tutto il suo cinema, questa volta mostrando impietosamente il disastro della loro lacerazione, che lascia in eredità una condanna all'infelicità che attraversa le generazioni.
Al centro è la figura tragica di Akiko (Ineko Arima), che non ricorda nemmeno la madre che se ne è andata quando aveva solo tre anni, e che rimane incinta di un ragazzo che non la ama né la sostiene, anzi si dà alla macchia costringendo la ragazza ad un mesto pellegrinaggio tra vari locali alla sua ricerca: un nuovo abbandono che la condurrà ad un altro trauma, quello dell'aborto, medicalizzato e legale in Giappone già nel 1957, ma devastante per il senso di colpa che le lascia dentro. Akiko, la cui autostima è gravemente compromessa, rivede con orrore se stessa nella madre: si indigna perché il fidanzato le chiede il figlio che aspetta se sia suo, ma poi fa una domanda analoga a sua madre, sospettando di essere la figlia del tradimento (“in me scorre solo il sangue sporco della mamma”). Alla lunga il senso di solitudine ed inadeguatezza, esacerbati dai comportamenti di madre e fidanzato, la porteranno al suicidio.
Altrettanto profondo è il personaggio della sorella maggiore Takako (interpretazione magnifica di Setsuko Hara), più matura e forte di carattere, ma comunque ferita: già madre, è ella stessa alle prese con la crisi del suo matrimonio e cerca invano di proteggere la sorellina. Lancinante lo sguardo fermo e inflessibile che rivolge alla madre quando questa si presenta a casa per salutare e portare un omaggio alla tomba di Akiko prima della nuova partenza per Hokkaido, per poi crollare, appena uscita la donna, in un pianto disperato.
L'ambigua figura della madre, che dopo molti anni ricompare nel quartiere con un nuovo compagno, è interpretata dall'attrice Isuzu Yamada (solo tre anni più vecchia di Setsuko Hara che fa sua figlia). Questa donna appare anaffettiva ed incentrata solo su se stessa (vedere come accoglie le notizie della morti di ben due suoi figli) : i suoi tentativi di ricucire con le figlie sono maldestri oltre che tardivi e conducono soltanto al peggioramento della crisi esistenziale di Akiko. A questo personaggio egoista l'autore non fa sconti: non potrà essere perdonata ed invano attenderà che la figlia accorra a salutarla alla stazione, ma d'altronde è giusto così ed Ozu evita correttamente riconciliazioni lacrimevoli e consolatorie. Il “lieto fine” è invece rappresentato dal fatto che almeno Takako trae una lezione dal dramma della sua famiglia disgregata e decide di rientrare a casa e riconciliarsi con il marito, per non infliggere a sua figlia quella mancanza di un nido che ha funestato la sua vita e quella di sua sorella.
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