Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: CINQUE SECONDI
Ormai è ufficiale: Valerio Mastandrea è diventato per Paolo Virzì quello che Toni Servillo è per Paolo Sorrentino o Marcello Mastroianni è stato per Federico Fellini.
Un alter ego che si trasforma anche fisicamente nel ruolo del regista livornese, che passa da essere Paolo figlio nel bellissimo La Prima cosa bella a Paolo padre in questo sofferto Cinque Secondi.
Mi sono sempre chiesto cosa avrebbe creato da un punto di vista artistico la fine della storia d’amore con Micaela Ramazzotti oltre il becero gossip che ha riempito i giornali in questo anno.
Dopo Siccità e Un Altro Ferragosto, Virzì conferma il suo pessimismo e la sua cupezza interiore anche se a differenza dei film precedenti questo Cinque Secondi ci lascia comunque un messaggio di speranza che speriamo di trovare nei film a seguire visto perché abbiamo ancora bisogno di quel Paolo Virzì, vero erede della Commedia all’italiana, capace di raccontare una certa Italia con il suo occhio amabilmente caustico.
Il modello d’ispirazione è Anatomia di una caduta, anche qui abbiamo un processo al centro di tutta la storia ma che contemporaneamente mette sotto accusa il rapporto di coppia, la crisi matrimoniale e le conseguenze dell’amore sui rapporti familiari.
Protagonista è Adriano Sereni, un avvocato coi controcazzi che è accusato dall’ex moglie di omicidio colposo nei confronti della figlia disabile. Un evento che spaccato in mille pezzi l’equilibrio precarissimo di una coppia separata con figli e che ha compromesso forse per sempre il rapporto del padre Adriano col figlio Matteo rimasto traumatizzato dal tragico evento familiare.
Il protagonista accetta quasi passivamente il proprio destino e la propria colpa e anticipando la probabile condanna decide di punirsi ritirandosi in esilio dentro un casolare abbandonato nelle campagne toscane e annunciando il ritiro dal suo studio associato (splendidamente rappresentato da una Valeria Bruni Tedeschi che ha ancora dentro scorie di Pazza Gioia nel suo personaggio di collega non tanto segretamente innamorata di Adriano).
Il destino decide di far incontrare nel suo percorso di riabilitazione la contessina Matilde, la nipote del proprietario di tutta la tenuta messa in vendita, che insieme ai suoi amici forma una comunità che tanto sarebbe piaciuta a Michela Murgia e che cerca di salvare le vigne di proprietà e produrre dell’ottimo vino giovane da condividere durante cene sociali consapevoli.
Matilde è incinta di un ragazzo chiamato Nebbia che vive ai margini del rapporto proprio per evitare il patriarcato, il bambino che nascerà deciderà lui la sua vita e sarà allevato ed educato dalla comune.
In realtà Matilde a 22 anni ha già sofferto abbastanza e l’incontro con l’altra anima in pena di Adriano sarà fondamentale per entrambi per affrontare i propri ingombranti fantasmi e per regalarsi un futuro migliore che è ancora da scrivere e vivere.
Paolo Virzì realizza un film intenso anche se fortemente imperfetto e irrisolto. Valerio Mastandrea è preciso a interpretare questo orso ferito che stancamente va incontro al suo destino.
Fa veramente malissimo lo scontro con la moglie (una Ilaria Spada che ricorda tantissimo la coattaggine di Micaela Ramazzotti) fuori dal tribunale che lo condanna alla notizia del tradimento. Una scena talmente vera che sembra veramente estratta dalle litigate di casa Virzì.
Galatea Bellugi si sta affermando come volto giovane di una certa ribellione giovanile, la sua Matilde ha dentro di sé quei personaggi già raccontati da Virzì che sembrano usciti dalla Pazza Gioia o da Baci Abbracci e che ricordano nel suo modo di parlare la Giovanna di Ovosodo interpretata da Nicoletta Braschi.
Paolo Virzì sta tornando lui anche se lo preferisco quando racconta la plebe anziché l’alta borghesia.
Voto 6,5
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