Regia di Pietro Marcello vedi scheda film
Una ricostruzione molto fantasiosa degli ultimi anni della grande attrice, che il fuoco sacro (e i debiti) spingono a tornare sul palcoscenico. L'interpretazione della Tedeschi vale da sola il biglietto, ma tutto il cast e la regia sono da elogiare.
Soldati, trincee, cannoni, ma non veri. Un plastico del fronte della Grande Guerra è la scena di apertura di Duse. Una scelta anticonvenzionale (ed economica, indubbiamente), proprio per questo suggestiva. Ancor più in questi giorni. Mi guardo intorno, saremo una ventina di persone in sala, tutti più anziani di me, che vado per i sessanta. Sotto quei capelli bianchi sento lo stesso pensiero che gira nella mia testa, che gira nella testa di tutti gli europei, in questo settembre: chissà se la guerra continuerà ad essere per noi un' esperienza cinematografica, o se la conosceremo da vicino (postilla per gli spiritosi: non sto facendo il menagramo, sto esprimendo quello che pensiamo tutti, anche se facciamo finta di nulla. Trump non l’ho votato io, e nemmeno i suoi scagnozzi europei; forse lo avete fatto voi). Poi appare lei, quel volto spiritato segnato dalle rughe, pieno di forza, fiducia, che con i suoi occhi azzurri ci inchioderà fino alla fine del film.
Cosa ne sappiamo noi di Eleonora Duse? Interprete di un solo film (Cenere) che quasi nessuno di noi ha visto, il suo destino è quello degli attori di teatro, che vivono nel ricordo di chi li ha conosciuti, per poi diventare una voce sull’enciclopedia, la targa di una strada, il nome di un teatro… Per chi l’ha vista in palcoscenico, era carisma puro, una donna che si identificava nelle eroine di Ibsen, o nelle donne del suo (troppo) amato D’Annunzio, e di tanti altri autori. Solo Sarah Bernhardt le stava alla pari, e la scena (immaginaria, credo) del loro incontro /scontro è forse il clou del film. Pietro Marcello non traccia una biografia della Duse (per quanto mi risulta, molti sono gli episodi inventati, o largamente romanzati, della sua vicenda: perfino il personaggio del giovane mediocre drammaturgo, che lei si ostina a portare in scena andando incontro a un fiasco, è di pura fantasia. Con tutto lo spazio che occupa!), e tantomeno un’agiografia: non nasconde i limiti umani e la irragionevolezza di questa donna. E’ facile dire: è pazza, come dice di lei la figlia. Ma se fosse stata ragionevole, sarebbe mai salita su un palcoscenico? Se non avesse sacrificato tutto alla religione dell’Arte, staremmo ancora qui a parlare di lei, dopo oltre un secolo? Alla fine dei conti credo che questo sia uno dei messaggi più importanti del film, che ci ricorda quanto la nostra civiltà sia debitrice verso questi splendidi folli (quanto a questo, nemmeno Ermete Zacconi e Memo Benassi scherzavano, come vedrete). Ma non c’è solo questo. Il tramonto della Duse, consumata dalla tubercolosi e dai debiti, coincide con l’ascesa del fascismo, col clima nazionalista, violento e bellicista che segue, o meglio, prosegue anche dopo la guerra. Tutto questo è illustrato da eccezionali filmati d’epoca, colorati, che impreziosiscono la trama del racconto, ancorandolo alla realtà. La diva non capisce questo mondo nuovo, si illuderà su Mussolini, come fecero tanti altri, ma non farà in tempo a vedere la nascita della dittatura, spegnendosi nel 1924, durante una tournèe negli Stati Uniti.
Confesso che conoscevo poco Valeria Bruni Tedeschi, non sono un cinefilo incallito. Ma la sua interpretazione è emozionante, sicuramente “eccessiva”, quasi a rievocare uno stile recitativo di altri tempi, per quanto, in realtà, quello della Duse fosse ben più misurato. Spero che i prossimi premi cinematografici la risarciscano del verdetto di Venezia. Il cast che gira intorno a lei è fatto di comprimari noti quasi soltanto agli addetti ai lavori, ma tutti sono da elogiare, quelle facce non le dimenticherete facilmente. Ripeto, non prendete questo film come un documento storico fedele, ma abbandonatevi al racconto, non vi pentirete di aver dedicato due ore a Duse.
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