Regia di Pietro Marcello vedi scheda film
La “Divina” Duse visse fra il 1858 e il 1924. Il film di Pietro Marcello dà inizio alle danze nel 1921, dopo che l’attrice è stata ferma per 12 anni e decide di ripartire a recitare per motivi economici - e mantenere il suo stile di vita sostanzialmente borghese, assistita dalla dama di compagnia Desirée. È un ritratto di un momento tardivo della vita dell’attrice, un ritratto che se fosse stato sviluppato con rigidità altera avrebbe potuto essere un progetto degli ultimi di Pablo Larraín; è invece un febbrile film di primi piani e recitazioni isteriche, che Marcello cuce addosso agli occhi di Valeria Bruni Tedeschi che, a scanso di equivoci, è brava, ma come la maggior parte del parterre attoriale italiano recita sostanzialmente se stessa. È dunque, Duse, un ritratto vorace, privo delle sottigliezze storiche di Martin Eden, fatto degli scontri e del trasformismo ideologico di una diva che pare più credere a se stessa che non nel teatro, che forse usa il dramma della guerra (e i commenti ruvidi e sgradevoli, severi ma giusti, della “competitor” Sarah Bernhardt) per trovare un pubblico anche quando potrebbe non avercelo più, e che affronta l’avvento del cinema e l’incipiente “morte” del teatro. Il film asseconda l’isterismo della Divina senza concedere quel margine che renda quell’isterismo la sostanza prima di una figura tragica. Il dramma non esiste, imbottigliato nel traffico di smorfie, urla e mossette. Eleonora Duse recita, sì, recita sempre, recita troppo, ma il film se ne giova beceramente e pigramente senza mettere le sue nevrosi in prospettiva.
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